A circa cinque anni dalla sua introduzione, il regime premiale fa crescere i ricavi e i redditi dichiarati di chi, anche per adeguamento, vi rientra. È questa la conclusione che emerge dai dati presentati mercoledì scorso in un incontro dell’Agenzia delle Entrate con le associazioni di categoria. Prendendo come riferimento il 2011, anno di esordio del regime premiale, nel 2014 i redditi medi dichiarati dai contribuenti che hanno avuto accesso al regime risultano cresciuti. Una stima statistica effettuata dalla Sose, inoltre, integra il dato positivo del 2014 attribuendo al regime premiale la capacità di aver determinato per gli stessi soggetti un incremento di 3,97 miliardi di euro di ricavi dichiarati e 1,95 miliardi di euro di redditi rispetto a quanto sarebbe stato registrato in assenza del regime.
L’esame dei dati dichiarati nel 2014
Sotto osservazione sono stati i dati dei contribuenti che nel 2014 hanno presentato uno studio di settore che prevede il regime premiale e che hanno dichiarato ricavi congrui e coerenti rispetto agli indicatori previsti per l’accesso al regime. Il reddito dichiarato da costoro è in crescita: dal 2011al 2014, infatti, i redditi medi dichiarati sono passati da 49mila euro a 51mila. Un bilancio positivo è stato registrato anche dall’analisi statistica effettuata dalla Sose e presentata nello stesso incontro. La ricerca è stata condotta con metodo “controfattuale”, mettendo cioè a confronto i risultati in termini di ricavi e redditi dichiarati dai soggetti che hanno goduto del regime premiale nel 2014 rispetto a quanto sarebbe stato dichiarato in assenza della norma. L’analisi distingue, in particolare, gli studi per cui il regime era già esistente nell’anno precedente e quelli per cui è stato introdotto per la prima volta nel 2014. Nel primo caso, tra i contribuenti risultati congrui e coerenti rispetto agli indicatori previsti, anche per effetto dell’adeguamento, si stima che in media i ricavi dichiarati siano stati superiori di circa 35mila euro rispetto a quanto sarebbe stato riscontrato in assenza del regime premiale, mentre il maggior reddito “stimolato” dal regime ammonterebbe a 17mila euro.
Il sistema premiale si è dimostrato un buon incentivo anche per gli studi di settore che ne hanno previsto l’applicazione solo nel 2014: mediamente, infatti, si riscontra un aumento di circa 17mila euro di ricavi dichiarati e di circa 9mila euro di reddito, sempre rispetto a quanto si stima sarebbe avvenuto in assenza del regime. A livello aggregato, conclude la ricerca, i maggiori ricavi dichiarati si attesterebbero quindi a oltre 3,9 miliardi di euro, per un maggior reddito di 1,9 miliardi di euro.
Gli studi di settore con regime premiale
In crescita anche il numero di studi di settore che contemplano il regime premiale. Si era partiti nel 2011 con 55 studi: anno dopo anno, il loro numero è progressivamente cresciuto, fino a triplicarsi con l’ultimo provvedimento del 9 giugno 2015, quando sono stati predisposti 157 studi. Ad aumentare di tre volte è stata, contestualmente, anche la platea dei contribuenti che possono potenzialmente accedere al regime, che dagli iniziali 605mila sono diventati oltre 2 milioni.
Quali sono i benefici per chi rientra nel regime premiale
Il regime premiale è stato introdotto dall’articolo 10 del Dl 201/2011 (“decreto Salva Italia”) e prevede una serie di benefici per i contribuenti che contestualmente presentano tre condizioni: dichiarino, anche per adeguamento, ricavi o compensi pari o superiori alla stima dello studio di settore; risultino coerenti con gli specifici indicatori previsti dai relativi decreti di approvazione degli studi o degli studi di settore applicabili; siano in regola con gli obblighi di comunicazione dei dati rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi, indicando fedelmente tutti i dati. Per chi presenta tutti e tre i requisiti scatta il regime premiale, se previsto dallo studio di settore che si trovano a dover compilare a seconda della propria attività. Rientrare nel regime premiale comporta tre vantaggi in termini di controlli: l’inibizione da accertamenti analitico-presuntivi basati su presunzioni semplici; la riduzione di un anno del termine di decadenza per l’attività di accertamento ai fini delle imposte dirette e dell’Iva; la determinazione sintetica del reddito complessivo solo a condizione che l’importo accertato ecceda il dichiarato di almeno un terzo.