studiSe, in sede di contraddittorio, il contribuente chiede l’applicazione di parametri diversi da quelli adottati dall’ufficio, spetta a lui dimostrare le circostanze di esclusione. L’applicazione dello studio di settore “evoluto”, come richiesto dal contribuente, dispensa l’Amministrazione finanziaria dall’onere probatorio in sede giudiziale. È il principio di diritto affermato dalla Corte suprema, con la sentenza n. 15604 del 27 luglio 2016.

 

La vicenda processuale

 

La vertenza giudiziaria nasce dall’impugnazione di un avviso di accertamento emesso per l’anno 2001, con cui vengono recuperati ricavi non contabilizzati a seguito dell’applicazione di uno specifico studio di settore. I giudici di merito, sia di primo sia di secondo grado, accolgono parzialmente il ricorso, riliquidando le somme dovute. In particolare, il giudice d’appello valorizza l’esito del contraddittorio preventivo, che ha condotto all’applicazione di uno studio di settore evoluto rispetto a quello originariamente applicato, ritenendo che, in sede contenziosa, il contribuente non abbia apportato ulteriori elementi atti a rimuovere le conclusioni dell’ufficio, essendo generici, e solo enunciati, i riferimenti alle ridotte dimensioni aziendali e alla crisi del settore (nella specie calzaturiero), nonché irrilevante la circostanza del numero ridotto di committenti.

 

Ricorre in Cassazione il contribuente, lamentando, tra l’altro, la violazione del principio dell’onere della prova e la violazione dell’obbligo di motivazione dell’atto accertativo. In particolare, il ricorrente sostiene che, avendo egli, in sede di contraddittorio preventivo, dimostrato l’inadeguatezza dello studio di settore originariamente applicato, anche mediante il confronto con lo studio di settore evoluto, l’onere della prova sarebbe tornato in capo all’ufficio finanziario, che avrebbe dovuto dimostrare comunque l’adeguatezza di questo secondo studio di settore (considerato che trattasi di una mera presunzione semplice non qualificata) e, quindi, estrarre dal contraddittorio o aliunde ulteriori elementi adatti a supportare il risultato. Conseguentemente, è stato violato anche l’onere di motivazione dell’avviso di accertamento, in quanto l’ufficio finanziario si è limitato alla mera affermazione dell’applicazione dello studio di settore evoluto.

 

La pronuncia della Cassazione

 

Nel rigettare il ricorso del contribuente, i giudici supremi hanno affermato il principio di diritto in base al quale, se in sede di contraddittorio preventivo le parti concordano sull’applicabilità dello standardprescelto al caso concreto oggetto dell’accertamento, ferma restando la prospettazione da parte del contribuente della sussistenza di circostanze di fatto tali da allontanare la sua attività, in assoluto o in un determinato periodo, dal momento normale al quale i parametri fanno riferimento, oggetto di valutazione in sede contenziosa saranno tali circostanze, non (più) l’applicabilità dello studio di settore. Dunque, non grava sull’ufficio un ulteriore onere probatorio.

 

Osservazioni

 

È consolidato in giurisprudenza (cfr Cassazione, sezioni unite 26635/2009) l’orientamento in base al quale la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione di studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non èex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standard in sé considerati (meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività), ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In questa sede, egli ha l’onere di provare la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli standard o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello standard prescelto.

 

In tali accertamenti, invero, l’onere probatorio è così ripartito: all’ente impositore fa carico la dimostrazione dell’applicabilità dello standard prescelto al caso concreto oggetto dell’accertamento, mentre il contribuente è tenuto a provare la sussistenza delle condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli standard o della specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo cui l’accertamento si riferisce. In questa modalità accertativa, la centralità va attribuita al contraddittorio preventivo, il cui esito è rilevante al fine di controllare l’operato dell’ufficio, sia in una prospettiva di favore per il contribuente sia in una prospettiva di responsabilizzazione del medesimo soggetto.

 

Non è coerente col sistema come sopra delineato che, una volta che il contraddittorio preventivo si sia svolto con le garanzie di difesa del contribuente e le parti siano addivenute a punti fermi sui quali sia stato raggiunto l’accordo, di questo non si possa poi tenere conto in sede contenziosa, considerando lo stesso tamquam non esset. Qualora, pertanto, in sede di contraddittorio il contribuente richieda e ottenga l’applicazione, in quanto (evidentemente) ritenuto maggiormente aderente alla propria specificità, uno studio di settore diverso da quello originariamente applicato dall’ufficio, l’Amministrazione finanziaria sarà dispensata dall’onere probatorio in sede giudiziale, ma graverà sul contribuente l’onere di provare le circostanze di fatto addotte per escludere specificamente la propria impresa dall’area di quelle cui sono applicabili gli standard normali e l’incidenza di queste circostanze sulla redditività della stessa impresa nel periodo considerato.

 

Nel caso di specie, il giudice di merito ha fatto corretta applicazione dei principi in materia di ripartizione dell’onere della prova, sopra delineati.