Lo smart working è stato molto utilizzato durante la pandemia di Covid-19, ma ad oggi come viene applicato? Ecco tutti i dati.
La pandemia di Covid-19 ha messo a dura prova il mondo del lavoro, ma in molti settori si è riusciti a dare una certa continuità, grazie al ricorso del lavoro agile.
Terminato il periodo d’emergenza, però, non tutti i lavoratori sono tornati alla “normalità” e hanno continuato a lavorare in smart working.
Ecco qual è la situazione post-pandemia.
Smart working dopo la pandemia: tutti i dati
Secondo un recente rapporto dell’Istat, l’identikit del lavoratore in smart working, post-pandemia, è laureato, con un’età compresa tra i 35 e i 44 anni e con un impiego nei settori dell’Informazione e della comunicazione e delle Attività finanziarie e assicurative.
Il picco del lavoro agile è stato raggiunto nel 2021, con una percentuale del 14,8%. A partire dal 2022, però, c’è stato un progressivo ridimensionamento, fino ad arrivare al 2023, quando la quota dei lavoratori agili è passata al 12%.
Bisogna, inoltre, ricordare che dal 1° aprile 2024 è terminata la normativa emergenziale e, ad oggi, il lavoro agile è disciplinato solamente dalle leggi ordinarie e dagli accordi aziendali e individuali.
Chi lavora di più in smart working?
Secondo i dati Istat, in riferimento al 2023, lavorano più donne che uomini a casa (13,4% contro l’11%).
Nella maggior parte dei casi, si parla di lavoratori nella fascia d’età tra i 35 e i 44 anni: una fascia che si è abbassata notevolmente, rispetto al periodo della pandemia, quando le percentuali più alte si registravano tra gli over 60.
I lavoratori laureati lavorano più a casa, rispetto ai diplomati, probabilmente perché c’è maggiore possibilità, per le professioni più qualificate, di lavorare da remoto.
Per quanto riguarda i settori lavorativi, lo smart working rimane più diffuso nel settore dell’Informazione e comunicazione (pari a 57,6%). Segue il settore delle Attività finanziarie e assicurative (37,3%).
Fonte: articolo di redazione lentepubblica.it