sine-metu-sine-spePremesso che non è necessario essere avvocato o magistrato per sapere che la legalità e la giustizia sono lontani dall’essere sinonimi, e se si crede di andare in tribunale e trovare giustizia è come andare da un macellaio per farsi tirare un dente.

A volte la legge e la giustizia sono così lontani, da non essere neanche considerati lontani parenti.

È un meccanismo molto imperfetto per cui bisogna premere esattamente i bottoni giusti e se si è anche fortunati, può darsi che la giustizia dia la risposta giusta.

Ma non è possibile continuare intendere la giustizia, come un’ingiustizia equamente condivisa, né pensare che la giustizia possa essere usata come marca di cosmetici, più o meno funzionanti.

“Giustizia”

La parola “giustizia” legata ai tribunali, ormai sembra una bugia maledettamente fredda, diventata merce che si compra e si vende come l’anima di Giuda. La giustizia dovrebbe essere uno scudo per i deboli e per i giusti, non un club gestito da chi esercita la tirannia peggiore, ossia quella esercitata all’ombra della legge e ammantata dal calore di falsa giustizia.

Sono stati scritti migliaia di leggi per far rispettare i dieci comandamenti e non si è ancora riusciti a farli rispettare. A questo punto ci si dovrebbe domandare perché. Forse perché i giudici sono diventati, come i wurstel e cessano di ispirare rispetto nel momento in cui sappiamo di che cosa sono fatti.

Perché la giustizia non è solo una questione di codici e procedure, ma soprattutto una questione di giudici ed è quindi prima una questione etica e culturale più che una questione giuridica.

Coloro che vengono scelti come giudici dovrebbero comprendere la propria responsabilità, poiché un giudice dovrebbe battersi per scoprire la verità, affinché il suo giudizio sia sempre imparziale e obbiettivo e dovrebbe, inoltre, combattere per superare la paura e resistere a tentazioni come guadagni monetari e favoritismi, sia diretti che indiretti o qualsiasi altra pratica che potrebbe impedirgli il giusto adempimento dei propri doveri.

Sine metu sine spe

C’è un’espressione latina che sintetizza efficacemente questo aspetto: sine metu sine spe, senza timore e senza speranza, che riecheggia l’antico regolamento di disciplina militare, cioè non per timore di punizione o per speranza di ricompensa, ma per la coscienza di adempiere al proprio dovere. Proprio per questo, per quanto la legge non sia sinonimo di giustizia, il giudice non deve guardare se le leggi sono giuste, deve solo applicarle in modo giusto. Il giudice deve essere la bocca della legge e non dovrebbe essere il giudice che condanna, ma la legge.

Il giudice non è immune dalla responsabilità del delitto per il quale un altro è condannato o meno, e non deve commettere l’errore di credersi membro di una società migliore, di una società di eletti. Con cattive leggi e buoni giudici si può pur sempre governare. Ma con cattivi giudici le buone leggi non servono a niente e sicuramente, fa meno danno un delinquente che un cattivo giudice. Il buon giudice non deve piegare le leggi alla sua comoda visione, ma piegare la sua visione in conformità delle leggi.

Sovrapposizione tra giudice e legge

Se una volta il giudice era considerato la bocca della legge, oggi viviamo un tempo in cui la bocca del giudice sembra essere diventata essa stessa la legge. Se alcuni magistrati non avessero una benda sugli occhi, proverebbero orrore per i propri errori. I magistrati sono uomini come tutti, ma il problema è che a volte sono proprio loro a non rendersene conto, perché a loro volta contorniati da una debolezza ed ipocrisia della politica che si taglia con il coltello, facendogli credere di aver potuto acquisire la superiorità morale per concorso.

Per questo oggi i giudici si sentono nelle condizioni anche di concorre alla “fabbrica” del diritto, come “creatore” del diritto, quello che vuole dettare “indirizzi”, senza tenere a mente che se la toga è la sua forza, è anche il suo limite invalicabile.

I magistrati fanno bene quando da pubblici ministeri fanno i pubblici ministeri e non i poliziotti o i giudici; quando da giudici fanno i giudici e non i pubblici ministeri o i poliziotti; quando rimangono indipendenti; quando rispettano gli altri poteri dello Stato e non cercano vie pseudo-giudiziarie a discutibili riforme politiche; quando difendono la loro indipendenza, ma non camuffano da indipendenza i loro interessi corporativi; quando agiscono su fatti e non su teoremi.

Complici dei delinquenti?

Un giudice che condanna o fa soffrire un indagato ingiustamente è un delinquente e allo stesso modo, se non sa punire, finisce per diventare complice del delinquente. È per questo che la sua figura è così importante che non può e non deve essere intaccata da comportamenti che fanno passare per normale l’ingiustizia, come se fosse una cosa scontata e non attenzionata o soprattutto barattata.

La consapevolezza di tutti che un magistrato appartiene al genere umano e alle sue debolezze, forse servirebbe a tutti e soprattutto a loro stessi. Considerare che vedere ciò che è giusto e non perseguirlo è mancanza di coraggio, che un giudice non si potrebbe permettere, perché a volte la violenza dei vigliacchi è anche peggiore della violenza dei bruti.

Le più grandi canagliate della storia non sono state commesse dalle più grandi canaglie, ma dai vigliacchi e dagli incapaci che preferiscono la sicurezza di un rifiuto alla complessità di una scelta.

Se si vuole migliorare il genere umano, bisogna iniziare col rispettare se stessi. Il che significa per i giudici, capire a cosa si può essere subalterni o il rischio a cosa si potrebbe esserlo, in particolare quando la cosa può scalfire il proprio ego, come andare a braccetto con la stampa che non lo potrà esaltare alla prossima occasione.

Rispetto e Responsabilità

Forse bisognerebbe togliere la dicitura a cui non crede ormai più nessuno poste nei tribunali: “La legge è uguale per tutti” e scrivere al loro posto le 3 “R” del Dalai Lama:

  • Rispetto per te stesso
  • Rispetto per gli altri
  • Responsabilità per le tue azioni.

Per avere la coscienza che la mancanza di rispetto significa prepotenza, di chi ritiene di avere sempre ragione, farsi sempre strada, calpestare tutto, non avere mai dubbi, che sono tutte le grandi qualità con le quali la stoltezza governa il mondo.

Prepotenza, che hanno soprattutto le persone piene di sé, in quanto vuote, che si amano tanto per paura che non siano amati abbastanza dagli altri.

E per questo bisognerebbe anche considerare che essendo esseri umani, si possono avere le patologie proprie degli stessi e quindi considerare le parole di Sigmund Freud che affermava:

Diventando troppo potenti le fantasie pongono le condizioni per la nascita di una nevrosi o di una psicosi. La differenza genetica più importante tra la nevrosi e le psicosi: la nevrosi sarebbe l’effetto di un conflitto tra l’Io e il suo Es, mentre la psicosi rappresenterebbe l’analogo esito di un perturbamento simile nei rapporti tra Io e mondo esterno. L’incapacità assoluta di provare vergogna o sentirsi in colpa per i propri misfatti è considerato segno caratteristico dello psicopatico.

Giustizia senza forza e forza senza giustizia

Il mondo è pieno di prepotenza e di ingiustizia anche per colpa di chi non fa niente per stigmatizzare la cosa quando ce n’è occasione, in quanto due grandi disgrazie del nostro tempo sono proprio la giustizia senza forza e la forza senza giustizia.

Per far sì che nessuno pensi che la giustizia non esiste e che bisogna sperare nella vendetta per poterla avere.

Anche in considerazione che la giustizia a differenza della legge a più tempo a disposizione, perché non sempre siede nel banco del giudice o dell’imputato.

 


Fonte: articolo di Roberto Recordare