sharingLa rapida espansione dell’economia condivisa mette al centro dell’attenzione, nazionale ed europea, il problema dell’assenza di una regolamentazione normativa, e in questo contesto “appare prioritario l’obiettivo di conferire certezza al quadro normativo per garantire condizioni di parità con i soggetti che operano nel mercato”. Lo ha detto Rossella Orlandi, direttore dell’Agenzia delle Entrate, in audizione davanti alle Commissioni riunite IX Trasporti, poste e telecomunicazioni e X Attività produttive, commercio e turismo della Camera, in merito alla proposta di legge sulla “Disciplina delle piattaforme digitali per la condivisione dei beni e servizi e disposizioni per la promozione dell’economia di condivisione”.

 

L’economia collaborativa, o della condivisione, rappresenta un nuovo modello economico e culturale fondato sullo scambio alla pari di beni e servizi, alternativo all’acquisto degli stessi come avviene nell’ambito dell’economia tradizionale: infatti, in questo contesto, i cittadini, che non operano in maniera professionale sul mercato, possono utilizzare i propri beni privati e prestare servizi a fini economici. Inoltre sia gli strumenti tecnologici ma soprattutto i social network hanno contribuito fortemente alla diffusione del fenomeno poiché hanno esteso e facilitato l’accesso ai servizi e ai beni oggetto di condivisione.

 

In particolare tale sistema risulta più presente nei settori del crowdfunding, dei trasporti, dello scambio di beni di consumo e del turismo, è proprio la rapida espansione dell’economia condivisa (sharing economy) che evidenzia, a livello sia europeo sia nazionale, il problema dell’assenza di una regolamentazione normativa, a garanzia che questo nuovo modello di business non sia in contrasto con il mercato e con le regole della concorrenza, a tutela sia degli operatori professionali sia degli interessi degli utenti.

 

Le linee guida arrivano dall’Europa

 

La Commissione Ue con la comunicazione (Com 2016, n. 356) ha predisposto un’agenda europea per l’economia collaborativa e ha fornito agli Stati membri le linee guida per attuare uno sviluppo equilibrato e sostenibile di questa nuova forma di scambio. C’è consapevolezza del rischio di un’economia parallela priva di regole, che potrebbe favorire le “zone grigie” dell’ordinamento giuridico, per esempio per sfruttare i lavoratori o per sottrarsi al pagamento delle imposte. In questo contesto, la Commissione Ue richiama gli Stati membri a intervenire nell’ambito del loro quadro normativo, suggerendo loro alcune indicazioni fondamentali.

 

In particolare, le linee guida individuate dalla Commissione Ue riguardano:

 

 

  • i requisiti di accesso al mercato che devono essere giustificati e proporzionati, tenendo conto delle specificità del modello imprenditoriale e dei servizi innovativi interessati, senza privilegiare un modello d’impresa a scapito di altri. In particolare, un elemento importante per valutare se un requisito di accesso al mercato è necessario, giustificato e proporzionato, può essere quello di stabilire se i servizi sono offerti da professionisti o da privati a titolo occasionale. Per la regolamentazione delle attività in questione, i privati che offrono beni o servizi su base occasionale e “tra pari” (peer–to–peer), attraverso l’utilizzo di piattaforme di collaborazione, non dovrebbero essere automaticamente considerati come prestatori di servizi professionali. In tal senso, potrebbe essere utile la definizione di soglie, anche settoriali, al di sotto delle quali un’attività economica è qualificata come non professionale
  • i regimi di responsabilità; le piattaforme di collaborazione sono incoraggiate all’adozione di azioni volontarie dirette a contrastare i contenuti online illeciti o ingannevoli
  • la tutela degli utenti, gli Stati membri dovrebbero garantire un elevato livello di protezione dei consumatori dalle pratiche commerciali sleali senza, tuttavia, imporre obblighi di informazione sproporzionati e altri oneri amministrativi a carico dei privati che occasionalmente forniscono dei servizi
  • la tutela dei lavoratori autonomi e subordinati impiegati nell’ambito dell’economia collaborativa
  • la fiscalità, le linee guida delineate dalla Commissione Ue evidenziano come i soggetti che operano nell’ambito dell’economia collaborativa devono essere sottoposti alla normativa fiscale al pari degli operatori professionali.

 
Cosa succede negli altri Paesi Ue

 

Nell’ambito dell’audizione odierna il direttore ha voluto prendere in considerazione le iniziative di tipo normativo intraprese, o in corso di valutazione, da parte di alcuni paesi europei. In Francia, per esempio, il dibattito sull’economia collaborativa ha comportato una serie di iniziative e proposte parlamentari, in cui l’attenzione non è stata solo posta sulle problematiche di carattere fiscale e concorrenziale, ma anche su questioni di sicurezza sociale, tutela dei lavoratori, diritti dei consumatori. In questo ambito si inserisce la “loi de finance” 2015, che introdotto la possibilità di incaricare le piattaforme online della raccolta della tassa di soggiorno dovuta ai comuni, adeguandosi così a quanto già avviene in altre città quali, per esempio, Amsterdam, Washington, San Francisco e Barcellona.

 

Inoltre, una disposizione della “loi de finances” 2016 ha imposto alle piattaforme online anche l’obbligo di informare i loro membri delle somme che essi devono dichiarare all’amministrazione fiscale, oltre a inviare ai loro utilizzatori un consuntivo annuale dei rispettivi ricavi. Sempre in tema di fiscalità, si segnala la proposta della commissione finanze del Senato francese di istituire una franchigia, fissata in 5.000 euro, comune a tutte le attività definite di economia collaborativa, cosicché i redditi inferiori a 5.000 euro non sono imponibili e non vanno dichiarati, mentre i redditi superiori a 5.000 euro sono imponibili secondo le disposizioni del diritto ordinario (imposta sui redditi e contribuzione sociale) per l’importo eccedente tale soglia. Anche in Belgio è stata avanzata una proposta sulla possibile tassazione delle attività da economia collaborativa e anche qui è fissata una franchigia esente pari a 5.000 euro e sui redditi superiori, l’imposizione di un’aliquota “agevolata” (10%). Infine si porta l’esempio di quanto sta avvenendo in Estonia, dove le piattaforme di carpoolingcooperano con le autorità fiscali, allo scopo di aiutare i contribuenti ad adempiere i loro obblighi fiscali in maniera efficace e con il minimo sforzo.

 

La proposta di legge italiana

 

La numero uno delle Entrate ha poi analizzato punto per punto la proposta di legge presentata il 27 gennaio scorso che tende a disciplinare le piattaforme digitali per la condivisione di beni e servizi e a promuovere l’economia della condivisione. Partendo dall’articolo 1 della proposta di legge è evidente l’obiettivo di garantire equità e trasparenza, soprattutto in termini di regole e di fiscalità, tra i soggetti che operano in tale ambito e gli operatori economici tradizionali e, al contempo, nel tutelare i consumatori soprattutto per gli aspetti connessi alla sicurezza, alla salute, alla privacy e alla trasparenza delle condizioni contrattuali. Così la definizione riportata nell’articolo 2 è fondamentale per disegnare i confini dell’”economia della condivisione” laddove si precisa che “i beni che generano valore per la piattaforma appartengono agli utenti” e che tra questi ultimi e il gestore “non sussiste alcun rapporto di lavoro subordinato”. Proseguendo nella disamina della proposta, la Orlandi ha evidenziato i poteri regolamentari attribuiti all’Autorità garante della concorrenza e del mercato disciplinati dai successivi articoli 3 e 4. Le misure da adottare anno per anno sono individuate dall’articolo 6, mentre l’articolo 7 detta disposizioni in materia di tutela della riservatezza. Le buone pratiche da adottare da parte dei comuni italiani sono delineate nel successivo articolo 8, così come per il monitoraggio l’articolo 9 stabilisce l’obbligo per i gestori di piattaforme (iscritti nell’apposito registro istituito presso l’Agcm) di comunicare all’Istat i dati relativi al numero di utenti, alle attività svolte, ai relativi importi nonché alla tipologia di beni e servizi utilizzati, aggregati su base comunale. Infine, nell’articolo 10 sono stabiliti i controlli e le sanzioni a carico dei gestori mentre l’articolo 11 detta il termine di 120 giorni dalla data di entrata in vigore del provvedimento per l’adeguamento alle disposizioni ivi contenute da parte dei gestori già operanti sul mercato.

 

Gli aspetti fiscali della sharing economy

 

È l’articolo 5 della proposta di legge quello che affronta dal punto di vista fiscale tutta la tematica dell’economia condivisa e sul quale maggiormente si è soffermato il direttore dell’Agenzia delle Entrate. Partendo dalle considerazioni dalla Commissione europea nella comunicazione del 2 giugno appare evidente che uno dei principali problemi derivanti dall’economia collaborativa riguarda l’adempimento degli obblighi fiscali e la loro applicazione dal momento che esistono difficoltà oggettive nell’identificare i contribuenti e, di conseguenza, nell’intercettare i loro redditi, così come non ci sono sufficienti informazioni sui prestatori di servizi. Con l’articolo in considerazione ci si propone la risoluzione delle criticità evidenziate attraverso una specifica disciplina fiscale, il rafforzamento della tracciabilità dei redditi e l’introduzione di appositi strumenti di contrasto al rischio di evasione che può caratterizzare l’ambito dell’economia della collaborazione. Nel vigente quadro normativo i redditi da economia collaborativa risulterebbero inquadrabili – in base alle disposizioni contenute nell’articolo 67, comma 1, lettere i) e l), del Tuir – nella categoria dei redditi diversi come redditi derivanti da attività commerciali o di lavoro autonomo non esercitate abitualmente, o tra i redditi dei fabbricati così come previsti dall’articolo 36 del Tuir, nel caso di locazioni di immobili. Nella proposta in esame il reddito percepito dagli utenti mediante la piattaforma digitale è definito “Reddito da attività di economia della condivisione non professionale” cui viene destinata un’apposita sezione della dichiarazione dei redditi.

 

Per incentivare lo scambio e la condivisione delle risorse tra privati allo scopo di sfruttare beni personali e integrare il proprio reddito è prevista una modalità di tassazione sostanzialmente agevolata per i redditi derivanti da forme di economia collaborativa a carattere “non professionale” e in questo senso, l’articolo 5, diversifica il regime fiscale riservato a coloro che svolgono tali attività secondo la soglia di reddito prodotto e individuato nell’ammontare pari a 10.000 euro. Considerando tale cifra quale franchigia, la norma considera un’imposta con aliquota fissa del 10 per cento, mentre per i redditi superiori a tale importo è previsto il cumulo con quelli derivanti da lavoro dipendente o autonomo e l’applicazione della corrispondente aliquota. Sempre nel medesimo articolo viene individuato l’obbligo per i gestori delle piattaforme di agire come sostituti d’imposta per i redditi conseguiti dagli utenti e si impone ai gestori aventi sede o residenza all’estero di dotarsi di una stabile organizzazione in Italia. Infine, la proposta stabilisce che i gestori debbano comunicare alle Entrate i dati riguardanti le eventuali transazioni economiche che avvengono attraverso le piattaforme digitali e si precisa che tale obbligo di comunicazione sussiste anche nel caso in cui gli utenti operatori non percepiscano alcun reddito dall’attività svolta per il tramite delle piattaforme medesime.

 

Restano ancora diversi aspetti da definire, e in tal senso si è espresso il direttore dell’Agenzia formulando una serie di ipotesi di intervento normativo che agisca direttamente sullo stesso Tuir così da definire una disciplina di dettaglio sulle modalità di determinazione del reddito da assoggettare a tassazione con aliquota fissa o con aliquota progressiva. Altro punto evidenziato riguarda se la soglia dei 10.000 euro, oltre a determinare un diverso trattamento fiscale, costituisca anche il discrimine tra attività professionale da economia condivisa e attività occasionale, nonché definire il criterio di cumulo da adottare per i redditi superiori a 10.000 euro e precisare come il reddito superiore a questa soglia si cumuli con le altre tipologie di reddito. Suscita, inoltre, perplessità l’ipotesi di obbligo del gestore estero ad aprire una sede in Italia per le funzioni di sostituto d’imposta, che potrebbe andare in conflitto con il principio di liberta di stabilimento nell’ambito dell’Ue. Infine resta ancora da approfondire e disciplinare la funzione di sostituto d’imposta attribuito al gestore (Dpr 600/1973).

 

Le ricadute in ambito Iva

 

Le linee guida adottate dal Comitato Iva stanno dando indicazioni di massima sull’eventuale applicazione dell’imposta sul valore aggiunto ai beni e servizi forniti attraverso le piattaforme dellasharing economy. Le riflessioni del Direttore evidenziano che “allo stato attuale, fermo restando gli indirizzi interpretatavi che sono in corso di definizione a livello Ue, le regole ordinarie dell’Iva devono ritenersi applicabili senza eccezione anche al settore dell’economia collaborativa”. Tuttavia resta il problema dell’operatore “occasionale” che, secondo la legge italiana non può, in linea di principio, essere considerato un soggetto passivo, però “nel contesto dell’economia collaborativa, la distinzione tra prestazione a titolo professionale e prestazione a titolo occasionale non è facilmente individuabile, specie se la regolamentazione varia da settore a settore e anche da regione a regione, come per esempio nel settore alberghiero”.

 

Rossella Orlandi cita anche le nuove attività di micro impresa che si stanno sviluppando nel contesto dell’economia collaborativa, rispetto alle imprese tradizionali già esistenti, che s’inseriscono nel nuovo mercato grazie alle tecnologie dell’informazione, eventualmente diversificando l’offerta di servizi. Pertanto si potrebbero immaginare, così come previsto per i prestatori di servizi elettronici, nuove modalità di gestione del rapporto con l’erario e sistemi semplificati di riscossione, affinché siano evitati comportamenti evasivi. Infine, per quanto riguarda la riscossione dell’imposta, “si condivide l’idea, che nella proposta di legge appare centrale, che i gestori delle piattaforme assumano un ruolo di rilievo”, ha concluso Orlandi.