bankrupt-2922154_640Quando è idoneo a integrare il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte un atto di scissione societaria?


 

L’operazione societaria, priva di ragioni economiche consistenti e anche strutturata per indebolire la funzione di garanzia del patrimonio, ha una evidente finalità elusiva. È idoneo a integrare il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte un atto di scissione societaria se valutato in relazione, non soltanto al momento in cui l’atto di scissione viene posto in essere, ma anche in relazione alle vicende successive alla scissione. È quanto affermato dai giudici della Corte di cassazione con la sentenza 232 del 9 gennaio, che accoglie il ricorso presentato dalla Procura di Vicenza.

 

Il fatto

 

La vicenda su cui si è pronunciata la Corte di cassazione nasce da accertamenti svolti dalla polizia giudiziaria nell’ambito dell’istruttoria prefallimentare nei confronti di una srl. Dall’attività accertativa era emerso che la predetta società aveva posto in essere un atto di scissione parziale e costituzione di un’altra società immobiliare. In particolare, per effetto della predetta scissione, era emerso che: il patrimonio netto contabile della srl risultava essersi significativamente ridotto; i soci della neocostituita società immobiliare risultavano essere gli stessi indagati; i cespiti trasferiti mediante il predetto atto di cessione risultavano essere tutti i crediti non commerciali, un maxi-canone relativo a locazione finanziaria, un debito non precisato e tre fabbricati.

 

Dall’esito degli elementi acquisiti, secondo la pubblica accusa, emergeva la natura fraudolenta dell’intera operazione, attesa l’inconsistenza delle ragioni economiche sottese all’operazione straordinaria, finalizzata a sottrarre risorse alle procedure di riscossione, in particolare alle obbligazioni riferibili alla società in fase prefallimentare, in gran parte costituite da debiti erariali non onorati, attraverso atti di gestione promossi e posti in essere per rendere inefficace la procedura di riscossione coattiva.

 

Pertanto, i soci venivano sottoposti a indagini preliminari per il reato di cui all’articolo 110 cp e Dlgs 74/2000, articolo 11 – sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte. La richiesta del pubblico ministero di sequestro preventivo degli immobili e dei crediti trasferiti con il predetto atto di scissione parziale veniva respinta dal Gip, mentre lo stesso pm disponeva la perquisizione e il sequestro della documentazione cartacea e informatica relativa alla vicenda, riconducibile a tutte le società coinvolte. Il tribunale del riesame, in accoglimento dell’istanza degli indagati, ha annullato il decreto di sequestro del pm, avverso il quale la procura ha proposto ricorso per cassazione.

 

Decisione della Corte di cassazione

 

La Cassazione ha accolto il ricorso e affermato che “in tema di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, anche una singola operazione di scissione societaria può essere idonea, se valutata in relazione non soltanto al momento in cui l’atto di scissione viene posto in essere, ma anche in relazione alle vicende successive alla scissione, a costituire quell’atto negoziale fraudolento o simulato idoneo ad integrare il reato”. I giudici di legittimità, attraverso un esame concreto degli elementi acquisti dalle indagini, hanno accolto le doglianze dell’accusa che, tra i motivi di ricorso, aveva evidenziato che il tribunale del riesame non avrebbe preso in considerazione alcune circostanze decisive, omettendo di spiegare le ragioni per le quali non sarebbero rilevanti. Pertanto, secondo la Corte, in caso di scissione la configurabilità del delitto di cui all’articolo 11, Dlgs 74/2000 non può essere esclusa, in via generalizzata e astratta, sulla base di quanto prevede l’articolo 2506-quater, cc, essendo invece richiesto al giudice penale di analizzare le concrete modalità con cui la scissione viene operata e la verifica degli eventuali effetti di pericolo per la riscossione delle imposte dovute dalla società che si scinde.

 

Sul punto si osserva che la disciplina dell’articolo 2506-quater del codice civile in materia di scissione societaria prevede che “ciascuna società è solidalmente responsabile, nei limiti del valore effettivo del patrimonio netto ad essa assegnato o rimasto, dei debiti della società scissa non soddisfatti dalla società cui fanno carico”. Difatti, anche se le società nate con le operazioni di scissione sono obbligate, in solido con la cedente, al pagamento delle imposte e delle sanzioni accertate a carico di quest’ultima, l’operazione deve essere valutata in una prospettiva più ampia al fine di analizzare l’effettivo impatto sulle garanzie per i creditori. La norma viene invocata dagli indagati laddove la nuova società, in quanto responsabile in solido, sarebbe comunque destinataria delle cartelle esattoriali inerenti debiti erariali a carico della società in prefallimento. Tale assunto è stato condiviso dai giudici del riesame, secondo cui difetterebbe l’elemento costitutivo del delitto ipotizzato, rappresentato dall’idoneità della condotta a rendere inefficace, anche solo parzialmente la procedura di riscossione, con conseguente mancanza del fumus del delitto di cui all’art. 11 citato.

 

Secondo i giudici di legittimità, invece, il ragionamento condotto dal tribunale del riesame è errato in diritto, in quanto mostra di non far buon governo del principio, diversamente affermato dalla Corte suprema (cfr Cassazione, 19595/2011) secondo cui “integra la condottarilevante come sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte dovute da una società, la messa in atto, da parte degli amministratori, di più operazioni di cessioni di aziende e di scissioni societarie simulate finalizzate a conferire ai nuovi soggetti societari immobili, dal momento che nella fattispecie criminosa indicata rientra qualsiasi stratagemma artificioso del contribuente tendente a sottrarre, in tutto o in parte, le garanzie patrimoniali alla riscossione coattiva del debito tributario”.

 

Inoltre, in linea con altre pronunce di legittimità (cfr Cassazione, 7618/2015), anche una singola operazione di scissione societaria può essere idonea, se valutata in relazione non soltanto al momento in cui l’atto di scissione viene posto in essere, ma anche in relazione alle vicende successive alla scissione, “a costituire quell’atto negoziale fraudolento e/o simulato idoneo ad integrare il reato in questione”.

 

In conclusione, la Corte ha annullato con rinvio al giudice del riesame, che dovrà attenersi  al seguente principio di diritto “In tema di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, anche una singola operazione di scissione societaria può essere idonea, se valutata in relazione non soltanto al momento in cui l’atto di scissione viene posto in essere, ma anche in relazione alle vicende successive alla scissione, a costituire quell’atto negoziale fraudolento e/o simulato idoneo ad integrare il reato in questione”.

 

Osservazioni

 

Nella sentenza in commento la Corte suprema si è occupata dell’idoneità di un atto di scissione societaria a integrare la fattispecie di cui all’articolo 11, Dlgs 74/2000. La finalità della scissione è generalmente riorganizzativa, con assegnazione o frammentazione del patrimonio sociale; con la scissione si possono infatti separare i vari settori produttivi, rendendo così possibile la liquidazione di quelli in perdita, che potrebbero essere trasferiti a società beneficiarie da estinguere, oppure cedere a terzi settori redditizi dell’azienda, mantenendo in capo alla società scissa le attività da destinare alla liquidazione.

 

Tuttavia, spesso, queste operazioni, come nel caso in esame, mascherano un intento elusivo, con particolare riferimento al caso in cui la scissione sia strutturata in modo tale da minare la funzione di garanzia del patrimonio in favore dei creditori sociali, sviando cespiti patrimoniali di significativo valore dalla scissa a favore di una o più entità, con l’intento di sottrarre i beni da possibili azioni giudiziarie promosse dai creditori non ancora soddisfatti. Tale idoneità, come ben evidenziato nella sentenza in commento, può consistere anche in una singola operazione, se valutata in relazione non soltanto al momento in cui l’atto di scissione viene posto in essere, ma anche in relazione alle vicende successive alla scissione, a costituire quell’atto negoziale fraudolento e/o simulato idoneo a integrare il reato.

 

Invero, l’articolo 11 punisce “chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore ad Euro cinquantamila, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva”.

 

Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, richiamato anche nella pronuncia in esame, è un reato di “pericolo”, per cui non è necessario che dall’atto dispositivo consegua un’effettiva erosione nell’area di garanzia dei crediti erariali costituita dal patrimonio del debitore, essendo sufficiente che si determini la semplice probabilità, da valutare al momento del compimento dell’atto stesso, che l’attività recuperatoria dell’Erario possa essere impedita. Vale a dire che ai fini dell’integrazione del reato non è necessario che la procedura di riscossione abbia già avuto inizio e anzi la configurabilità della fattispecie criminosa può prescindere da incerte o future iscrizioni a ruolo del debito tributario, eventuali notifiche di atti impositivi (cfr Cassazione, 39079/2013, 36290/2011 e 7916/2007).

 

Nel caso di specie, gli indagati hanno sostenuto che l’atto di scissione non avrebbe avuto l’effetto concreto di rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva, “non avendo avuto la scissione l’effetto di sottrarre cespiti alle pretese tributarie, in quanto i beni di cui era titolare la società scissa ed attribuiti alla società beneficiaria nata dalla scissione, resterebbero soggetti all’aggressione dell’Erario in forza della disciplina normativa richiamata (art. 2506 quater c.c.; D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 15, comma 2; art. 173, comma 13, TUIR)”.

 

Tuttavia, i giudici danno rilievo anche ad altri atti posti in essere successivamente all’operazione di scissione che avvalorano il carattere fraudolento di detta operazione negoziale. In particolare, assume rilevo anche la circostanza che la società costituita dopo la scissione, destinataria delle cartelle esattoriali, ex articolo 2506-quater cc, ha impugnato le cartelle esattoriali e, dopo il rigetto del ricorso da parte della Commissione tributaria di primo grado, ha costituito una nuova società, “ciò che evidenzia in modo paradigmatico come la conclusione del tribunale e della difesa – secondo cui la previsione dell’art. 2506 quater c.c. precluderebbe in astratto che un atto di scissione possa  rendere inefficace la procedura esecutiva – risulta essere contraddetta dalla realtà fattuale”.

 

La sentenza in esame è in linea con altri recenti pronunce di legittimità che hanno riconosciuto la ricorrenza della fattispecie criminosa nel caso di: costituzione di un fondo patrimoniale (cfr Cassazione, 5824/2007); spostamento della sede sociale (cfr Cassazione, 17723/2016); accensione di un’ipoteca su un immobile a garanzia di un credito fittizio ovvero al caso di alienazione simulata dei beni a una società di leasing con l’obbligo di cederli in locazione a una società di persone in cui erano soci i figli del contribuente, secondo lo schema del cosiddetto sale and lease back (cfr Cassazione, 14720/2008); alienazione simulata dell’avviamento commerciale dell’azienda (cfr Cassazione, 37389/2013); ristrutturazione sociale (cfr Cassazione, 29243/2017).