Qual è il ruolo di Parlamento e Consigli regionali nella Legge Calderoli dedicata alla controversa “autonomia differenziata”? L’approfondimento curato da Fabio Ascenzi.
Dopo aver svolto in un precedente articolo considerazioni di carattere generale sul ruolo che dovrebbe essere attribuito al Parlamento nell’ambito del procedimento ai sensi dell’art. 116 Cost. terzo comma, si vuole ora verificare come queste siano affrontate nella cosiddetta legge Calderoli.
In questi mesi si è sentito rivendicare dai sostenitori della norma che tra il testo licenziato nell’aprile 2023 dal Consiglio dei ministri e quello definitivo approvato a giugno 2024 ci sia stato una sostanziale implementazione del ruolo attribuito alle Camere. Verifichiamolo analizzando i punti della legge che prevedono passaggi parlamentari.
Cosa prevede la legge n. 86/2024
Tutta la procedura di avvio del negoziato è riservata a rapporti Governo-Regione, di cui le Camere sono semplicemente informate. Una volta redatto lo schema di Intesa preliminare, questo viene trasmesso alle Camere per l’esame da parte dei competenti organi parlamentari, che si esprimono con atti di indirizzo, secondo i rispettivi regolamenti, entro novanta giorni dalla data di trasmissione dello schema di intesa preliminare, udito il Presidente della Giunta regionale interessata.
Decorso il suddetto termine, che l’esame si sia concluso o meno, si procede comunque alla predisposizione dello schema di Intesa definitivo e il Presidente del Consiglio dei ministri, ove ritenga di non conformarsi in tutto o in parte agli atti di indirizzo di cui al comma 4, riferisce alle Camere con apposita relazione, nella quale fornisce adeguata motivazione della scelta effettuata.
L’intesa definitiva, sottoscritta dal Presidente del Consiglio dei ministri e dal Presidente della Giunta regionale interessata, viene allegata a un disegno di legge e immediatamente trasmesso alle Camere per la deliberazione, ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione.
Per l’approvazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) viene delegato il Governo ad adottare, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi.
Gli schemi di ciascun decreto legislativo sono successivamente trasmessi alle Camere per l’espressione dei pareri da parte delle Commissioni parlamentari competenti […] che si pronunciano entro il termine di quarantacinque giorni dalla data di trasmissione, decorso il quale il decreto legislativo può essere comunque adottato.
Il Governo, qualora non intenda conformarsi ai pareri parlamentari, trasmette nuovamente i testi alle Camere con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni, corredate dei necessari elementi integrativi di informazione e motivazione. Le Commissioni competenti per materia e per i profili finanziari possono esprimersi sulle osservazioni del Governo entro il termine di venti giorni dall’assegnazione, decorso il quale il decreto legislativo può essere comunque emanato.
Ruolo del Parlamento fortemente ridimensionato
Rimanendo alla lettera della legge n. 86/2024, pertanto, al di là delle dichiarazioni di parte, il ruolo del Parlamento risulta ancora fortemente ridimensionato.
Esso, infatti, appare ridotto a mere pronunce di approvazione (rectius ratifica) su provvedimenti prodotti e decisi in altre sedi. Dove è previsto il parere delle Commissioni competenti è imposto un termine brevissimo per esprimersi, spirato il quale i decreti possono comunque essere adottati dal Governo, con una sorta di silenzio-assenso (sic!) che dall’ambito del procedimento amministrativo si vorrebbe esteso, nientemeno, a processi di così forte impatto costituzionale. In alcuni passaggi fondamentali, come i monitoraggi, si demanda tutto alla componente governativa o ad organismi tecnici, mentre il Parlamento risulta solo informato (allo stesso modo della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano!).
Inoltre, laddove è previsto che le Camere debbano esprimersi attraverso atti di indirizzo, questi non hanno alcun potere vincolante nei confronti della trattiva e della stipula dell’Intesa, considerato che il Presidente del Consiglio dei ministri potrà disattenderli con semplice decisione motivata.
Un siffatto ruolo assegnato alle Camere, private della possibilità di apportare modifiche per incidere sul procedimento in atto, relegate a semplici sedi di ratifica di decisioni prese altrove, lambisce diversi aspetti di dubbia costituzionalità, apparendo contraria alla lettera e allo spirito della Carta, poiché come sostenuto da autorevoli studiosi anche nelle audizioni tenute durante l’iter legislativo, il Parlamento è l’unico organo che può delegare ad altri poteri che gli sono espressamente assegnati, nonché l’unico soggetto costituzionalmente autorizzato a mediare le istanze unitarie di cui è portatore lo Stato con quelle particolari di cui sono portatrici le singole Regioni. Concetto costantemente ribadito anche dalla Corte costituzionale (ex multis, sent. n. 118/2015).
E invece persino sulla definizione dei LEP, elemento centrale per il mantenimento delle garanzie di uguaglianza sostanziale pretese dalla nostra Costituzione, che non a caso l’art. 117 Cost. lett. m riserva alla legislazione esclusiva dello Stato, il ruolo assegnato alle Camere è assolutamente insufficiente. Ne approfondirò aspetti e criticità in un prossimo articolo.
Spiccata verticalizzazione della rappresentanza politica
Nella procedura illustrata, risulta chiara la riproposizione di una verticalizzazione della rappresentanza politica, in cui le decisioni più importanti si spostano verso gli organi esecutivi di Stato (Governo) e Regioni (Giunta), o peggio ancora verso organismi tecnici a questi subordinati; riducendo gli organi di rappresentanza popolare (Parlamento e Consigli regionali) a meri soggetti ratificatori.
In particolare, gran parte delle decisioni sono accentrate nella figura del Presidente del Consiglio: potere di avviare il negoziato con una Regione; limitazione delle materie oggetto dell’Intesa; predisposizione dello schema definitivo di Intesa; libertà di non conformarsi ad atti di indirizzo o a pareri delle Camere; aggiornamento dei LEP e dei relativi costi con d.P.C.M., aggirando le Commissioni parlamentari; disporre la cessazione delle Intese approvate.
In definitiva, tutto il procedimento rimane un atto concordato tra il Governo (con ampissimi poteri del PdC) e la singola Regione, mentre sul disegno di legge finale contenente l’Intesa il Parlamento potrà solo votare a favore o contro, non avendo alcuna possibilità di emendare l’atto negoziato.