ripresa, tfr, webConfindustria, ABI e altre rappresentanze di impresa hanno siglato l’Accordo per la ripresa 2015 per bloccare la stretta del credito alle imprese e sostenere la liquidità delle nostre PMI, colmando il vuoto lasciato dall’accordo precedente scaduto il 31 marzo. I punti cardine dell’intesa sono quattro, e riguardano i crediti fiscali e commerciali, gli investimenti e una nuova moratoria.

 

 

Crediti fiscali

Le banche potranno anticipare almeno il 75% dei rimborsi fiscali attestati dal Fisco, legati a IVA, IRAP, IRPEF o IRES.

 

 

Crediti commerciali

Le banche potranno intervenire nell’anticipo sui crediti che le imprese vantano nei confronti della pubblica amministrazione: con un plafond di 10 miliardi messo a loro disposizione, le imprese potranno scegliere se accettare uno sconto pro soluto con garanzia statale, una anticipazione con cessione o una anticipazione senza cessione.

 

 

Investimenti

Gli istituti di credito hanno accettato di acquisire provviste della Banca Centrale Europea e della Cassa depositi e prestiti finanziando gli investimenti in beni strumentali e immateriali compiuti dalle PMI e alimentando la “Nuova Sabatini”, il tutto con una disponibilità, anche in questo caso, di 10 miliardi, compresi i residui disponibili per il Plafond investimenti del 2012, pari una cifra compresa tra 4 e 5 miliardi.

 

 

Moratoria

Infine, è ancora allo studio la possibilità di sospendere la quota capitale di ogni rata ed estendere nel tempo i finanziamenti delle piccole e medie imprese. In ogni caso l’accordo prevede che le imprese non abbiano debiti catalogati come sofferenze, inadempienze probabili o esposizioni che siano scadute da più di 90 giorni.

 

 

Vantaggi per le PMI

Le misure previste dovrebbero dare nuova linfa alle PMI, ancora vittima del credit crunch sebbene molto sia stato fatto in termini di fiducia e ricapitalizzazione, senza dimenticare l’utile apporto dei Confidi pronti a fornire alle banche la garanzia necessaria. Malgrado ciò il sistema del credito non può essere lasciato alla libera iniziativa del mercato: in questo caso a farne le spese sarebbero le realtà più piccole, prive di capitali e quindi con una maggiore percentuale di rischio potenziale.

 

 

Crediti deteriorati

Un correttivo al sistema potrebbe essere dato, come affermato di recente da Fabio Panetta, vicedirettore generale della Banca d’Italia e membro della supervisory board della Vigilanza Bce, dall’intervento sui crediti deteriorati, ovvero su quei prestiti che hanno un’oggettiva evidenza di possibile perdita di valore, e che a causa dell’incapacità di restituire il capitale e gli interessi, hanno una bassa probabilità di essere riscossi.

 

 

Secondo Panetta, le autorità nazionali dovrebbero inserirsi tra le banche e rendere più semplice e veloce lo smaltimento delle partite deteriorate: solo in questo modo il fallimento del mercato potrebbe limitare i propri riflessi sull’economia. La cessione dei crediti deteriorati favorirebbe:

 

 

  • imprese e famiglie: potrebbero essere messi in circolo nuovi capitali da destinare al credito e quindi alla ripresa;
  • banche: potrebbero perdere le partite anomale e beneficiare dal punto di vista dei costi operativi e del costo della raccolta;
  • Stato: beneficerebbe di un maggiore gettito fiscale legato al rilancio congiunturale.

 

 

Altro intervento dovrebbe riguardare le procedure per il recupero dei crediti, che a causa dei tempi molto più lunghi nel nostro Paese rispetto alla media europea, finiscono per mettere in forte difficoltà gli istituti di credito con un accumulo ingente, anche in questo caso, di crediti deteriorati.