Ecco alcune riflessioni emerse da un recente documento dedicato alle opportunità di lavoro fuori dalle mura carcerarie per i detenuti.


Un panel di lavoro e riflessione dal titolo “Cooperazione sociale e giustizia un ponte tra carcere e società” organizzato al CNEL, Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, e da Confcooperative Federsolidarietà che ha acceso i riflettori su un tema poco trattato e poco visibile, il recupero sociale dei detenuti. L’evento è stato finalizzato anche alla sottoscrizione di un protocollo d’Intesa tra Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e Confcooperative Federsolidarietà.

Si parte dall’articolo 45 della Costituzione, che recita “La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata. La legge ne promuove e favorisce l’incremento con i mezzi più idonei e ne assicura, con gli opportuni controlli, il carattere e le finalità”. L’impegno della cooperazione sociale, in questo contesto si concentra, con degli spunti innovativi, nel rendere concreta la finalità rieducativa della pena e la sua funzione catartica.

Un lavoro capillare nel tessuto del sistema paese, con numeri presentati di rilievo. Ad oggi, oltre 1.500 i detenuti ed ex detenuti impegnati in percorsi di formazione, tirocini e borse lavoro connessi con il mondo delle cooperative sociali. Se si considera il costo sociale e quello economico di ogni detenuto, oltre 150 euro al giorno al nostro Paese, è ancora più chiaro il valore di 3.000 ex detenuti che, intrapreso il percorso di lavoro in una cooperativa sociale, vi restano anche al termine della pena, facendo propria quell’esperienza e laorando per sostenere altri che la stanno vivendo. Ancora, 1 detenuto su 3, tra quelli occupati nel privato, è assunto da una cooperativa sociale aderente a Confcooperative Federsolidarietà.

Il contributo delle cooperative sociali e i numeri

Una mattinata di lavori, quella che si è svolta al CNEL, che ha rappresentato un’occasione per mettere in luce le esperienze e il contributo che le cooperative sociali danno alle politiche di inclusione e di inserimento lavorativo dei detenuti all’interno ed all’esterno degli istituti penitenziari come richiesto dall’art 27 della costituzione con “Le pene che devono tendere alla rieducazione del condannato”.

Ed i numeri stessi, come dicevamo, sono stati il miglior specchio di questo impegno con un totale di circa 1.107 persone tra detenuti, ammessi alle misure alternative alla detenzione e al lavoro esterno distribuiti su circa 110 cooperative sociali aderenti a Confcooperative. Più di 4 mila le persone che usufruiscono dei servizi residenziali per detenuti ed ex-detenuti, laddove intervengano altre difficoltà come problemi psichiatrici e dipendenze, e che possono usufruire di altri servizi di reinserimento socio lavorativo una volta finita la detenzione.

Servono opportunità di lavoro fuori dalle mura carcerarie

Di grande stimolo a proseguire il lavoro, un dato su tutti, quello che racconta come ogni 100 detenuti che sono inseriti in un percorso di inserimento lavorativo, al ritorno in società, torna a delinquere meno del 10%, a fronte di un dato nazionale che vedeva nel 2022 (XVIII Rapporto) il 62% dei detenuti che era già stato in carcere un’altra volta, e il 18% cinque volte  o più, un altissimo tasso di recidiva. Dai numeri che emergono dal panel “Cooperazione sociale e giustizia un ponte tra carcere e società” organizzato al Cnel da Confcooperative Federsolidarietà” sembra evidente che il lavoro svolto dimostra un abbattimento della recidiva importante rispetto a chi è sottoposto a trattamenti standard.

Previsti quindi l’apertura di un tavolo tecnico e progetti imprenditoriali finalizzati all’inserimento lavorativo intra ed extra-murario, con progetti cioè che siano di supporto all’interno delle carceri con possibilità di professionalizzare e formare il detenuto e che seguiano poi queste persone una volte uscite della mura carcerarie, verso una vita libera.

Grazie al Protocollo d’Intesa siglato tra Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e Confcooperative Federsolidarietà si aprono, dunque, nuove prospettive per lo sviluppo di opportunità lavorative e sociali a favore della popolazione detenuta nelle carceri italiane. L’intesa vede l’apertura di un tavolo tecnico e punta a promuovere programmi di intervento a favore dei detenuti, avviando progetti imprenditoriali finalizzati all’inserimento lavorativo intra ed extra-murario e al recupero sociale degli stessi. I progetti saranno individuati e promossi da Federsolidarietà.

Sgravi fiscali

Già allo stato attuale la legge prevede vantaggi fiscali e contributivi per le imprese che assumano detenuti o internati all’interno degli istituti penitenziari, detenuti o internati lavoranti all’esterno del carcere ai sensi dell’art. 21 legge 354/1975 dell’ordinamento penitenziario e detenuti o internati semiliberi.

È disponibile un credito d’imposta per le imprese che assumano detenuti o internati all’interno degli istituti penitenziari o  lavoranti all’esterno ai sensi dell’art. 21 ord.penit, che può far recuperare per ogni lavoratore assunto, nei limiti del costo per esso sostenuto, di  520 euro mensili, mentre per le imprese che assumano semiliberi possono ottenere un credito d’imposta per ogni lavoratore assunto, nei limiti del costo per esso sostenuto, di 300 euro mensili.

Un credito d’imposta per l’azienda che sceglie un impiegato detenuto, se il rapporto di lavoro è iniziato mentre il soggetto era ristretto, che prosegue per i diciotto mesi successivi alla cessazione dello stato detentivo per i detenuti ed internati che hanno beneficiato della semilibertà o del lavoro esterno e per i ventiquattro successivi alla cessazione dello stato detentivo nel caso di detenuti ed internati che non hanno beneficiato della semilibertà o del lavoro all’esterno.

Non molti sono a conoscenza, infine, del fatto che sia vantaggioso anche offrire percorsi formativi e professionalizzanti ai detenuti o internati. A queste attività, durante i mesi di svolgimenti si applicano gli stessi sgravi, a condizione che al periodo di formazione segua l’immediata assunzione anche per un tempo minimo, corrispondente al triplo del periodo di formazione per il quale l’impresa ha fruito dello sgravio.