Un dipendente può registrare delle conversazioni, in segreto, sul posto di lavoro? Ecco cosa dice la legge.


In alcuni casi, un dipendente potrebbe avere bisogno di dimostrare dei comportamenti scorretti sul posto di lavoro.
Ma come poter dare la prova certa di una conversazione?

Si potrebbe pensare di registrare la conversazione, ma si tratta di una pratica legale? Ecco cosa dice la Cassazione.

Registrare conversazioni sul posto di lavoro: è legale?

Sul tema della registrazione delle conversazioni, si è pronunciata più volte la legge.

Un dipendente può utilizzare la registrazione delle conversazioni dei suoi colleghi, effettuate senza il loro consenso, solo ed esclusivamente se vengono utilizzate per la tutela giudiziale dei loro diritti.

Si tratta di un principio ribadito anche dalla Corte di Cassazione, nella recente ordinanza n°24797 del 2024. L’ordinanza sottolinea come la salvaguardia dei mezzi di difesa prevalga sulle esigenze di riservatezza dei terzi.

Ci sono, però, ovviamente dei limiti all’utilizzo delle conversazioni registrate.

Questi file non possono essere diffusi a terzi, condivisi in chat, pubblicati sui social e utilizzati come mezzo per vendette personali.
L’unico utilizzo consentito dalla legge è quello giudiziario, come in caso di ricorso al tribunale del lavoro, esposto, querela o denuncia contro il datore di lavoro.

Cosa dice l’ordinanza della Corte di Cassazione

Nel caso specifico, l’ordinanza riguardava tre lavoratori, coinvolti in contenziosi legati alle loro posizioni lavorative. I dipendenti avevano presentato in tribunale un file audio che riguardava una conversazione avvenuta anni prima, durante una riunione aziendale, tra un altro dipendente e alcuni rappresentanti del datore di lavoro.

I dirigenti, che non sapevano di essere registrati, hanno fatto appello al Garante per la protezione dei dati personali, con l’art.77 del regolamento UE 2016/679 (GDPR), chiedendo la cancellazione o la distruzione del file.

La loro richiesta non è stata accolta dalla Corte di Cassazione che, invece, ha seguito la linea del Garante, dichiarando lecita la condotta incriminata.
Si ribadisce, infatti, che l’utilizzo dei dati, senza il consenso dell’interessato, viene considerato legittimo se è utile a difendere un diritto fondamentale, come la tutela giudiziale di un dipendente.

In linea generale, spetta al giudice decidere se ammettere le prove o meno che implicano il trattamento di dati personali di terzi.
Inoltre, la Corte di Cassazione specifica che, secondo gli articoli 17 e 21 del GDPR, il diritto alla difesa in giudizio ha la precedenza sui diritti dell’interessato alla privacy.