Il calcio di nuovo nella bufera, stavolta per un altro presunto caso di razzismo, a Santa Teresa di Riva durante una gara di Eccellenza: stop alla gara e caso nel mirino dell’opinione pubblica.


Durante una partita di campionato tra Jonica e Real Avola, tenutasi allo stadio comunale di Santa Teresa di Riva (ME), un  episodio di razzismo ai danni dell’attaccante colombiano Jairo Alegria ha portato alla sospensione del match: ma gli avversari lo accusano di ipocrisia, scopriamo il perché.

Il caso di Jairo Alegria la partita di calcio a Santa Teresa di Riva e le accuse di razzismo ai tifosi

Durante il match tra Jonica e Real Avola, valido per la quinta giornata del campionato di Eccellenza, la partita ha preso una piega drammatica quando l’attaccante colombiano Jairo Alegria è stato oggetto di insulti razzisti da parte di alcuni tifosi del Real Avola. Mentre gli ospiti conducevano per 3 a 0, parte del pubblico ha iniziato a urlare insulti pesanti contro il giocatore, accompagnati dal verso della scimmia, un gesto tristemente noto per la sua connotazione razzista.

Alegria, fino a quel momento concentrato sulla partita, ha subito l’attacco con un misto di incredulità e rabbia. Dopo aver resistito per alcuni istanti, la pressione emotiva ha avuto il sopravvento, spingendolo a compiere un gesto forte: si è seduto al centro del campo, un atto di protesta silenziosa che ha fermato il gioco. Nonostante i tentativi dello staff tecnico e dei suoi compagni di squadra di convincerlo a rialzarsi e continuare la partita, Alegria ha mantenuto la sua posizione, chiaramente scosso e incapace di proseguire dopo aver subito un tale attacco.

In un atto di solidarietà, l’intera squadra della Jonica ha deciso di abbandonare il campo, rifiutandosi di continuare a giocare.  Alegria ha spiegato il suo gesto poco dopo: “I tifosi avversari mi urlavano insulti irripetibili e mi facevano il verso della scimmia. Non ce la facevo più, era una situazione insopportabile. Non mi era mai successo prima in Italia“.

L’arbitro Luigi Canicattì, di Agrigento, dopo aver atteso invano la ripresa del gioco, ha preso la decisione di sospendere definitivamente la partita. La sua scelta, inevitabile data la situazione, ha innescato un acceso dibattito sia dentro che fuori dal campo.

Le accuse di ipocrisia da parte degli avversari

Da una parte, il gesto di Alegria ha suscitato una profonda solidarietà, con molti che hanno riconosciuto la gravità degli insulti razzisti e hanno appoggiato la decisione della squadra di non continuare. Tuttavia, non sono mancate le critiche, soprattutto da parte dell’allenatore del Real Avola, Attilio Sirugo, che ha accusato la Jonica di antisportività.

Sirugo ha definito “vergognoso” l’abbandono del campo, suggerendo che la squadra stesse cercando di evitare una sconfitta netta e di ribaltare il risultato a tavolino. Nelle sue dichiarazioni, Sirugo ha minimizzato l’accaduto, definendo gli insulti come “ipotetici” e insinuando che la Jonica stesse strumentalizzando il razzismo per coprire la propria debacle sportiva. Ha affermato che, al loro posto, avrebbe concluso la partita e poi affrontato la questione in separata sede.

Le parole di Sirugo hanno contribuito a polarizzare il dibattito. Da una parte, chi difende il diritto di reagire a manifestazioni di odio, considerando il gesto di Alegria e della Jonica un esempio di coraggio. Dall’altra, chi, come l’allenatore del Real Avola, vede in questa vicenda una possibile strumentalizzazione delle questioni razziali per fini sportivi.

Una lunga serie di casi, lunga un ventennio

Il caso di Jairo Alegria si inserisce in un quadro molto più ampio di episodi di razzismo che continuano a macchiare il calcio italiano, nonostante le ripetute campagne di sensibilizzazione e le sanzioni sportive. La vicenda non è un caso isolato, ma rappresenta l’ennesima dimostrazione di quanto questo problema sia radicato e persistente negli stadi.

Omolade

Uno dei primi episodi emblematici risale al 2001, quando Akeem Omolade (deceduto nel 2022 a soli 39 anni), attaccante nigeriano del Treviso, venne accolto dai suoi stessi tifosi con fischi e ululati razzisti al suo ingresso in campo. Questo fu un segnale di quanto profonda fosse l’intolleranza, anche tra i sostenitori della propria squadra. La risposta dei suoi compagni fu di forte impatto: nella partita successiva, contro il Genoa, scesero in campo con il volto dipinto di nero, un gesto di solidarietà che rimase scolpito nella memoria collettiva, anche se purtroppo non riuscì a cambiare le dinamiche del razzismo nel calcio italiano.

Zoro

Nel 2005, durante una partita tra Inter e Messina, fu l’ivoriano Marc Zoro a essere vittima di insulti razzisti. In quella circostanza, Zoro reagì fermando il gioco e minacciando di lasciare il campo, prima di essere convinto dai compagni e dagli avversari a proseguire. Il suo gesto accese un dibattito sul ruolo dei calciatori nella lotta contro il razzismo e sull’efficacia delle misure prese dalle autorità calcistiche.

Eto’o

Anche campioni di livello internazionale come Samuel Eto’o, ex attaccante camerunense di Inter e Barcellona, hanno subito questo tipo di trattamento. Nel 2010, durante una partita tra Cagliari e Inter, Eto’o venne bersagliato da ululati razzisti. In risposta, l’arbitro Paolo Tagliavento sospese temporaneamente la partita. Eto’o, in quell’occasione, decise di continuare a giocare e segnò un gol, esultando con un gesto che richiamava le offese ricevute, un’azione simbolica che sottolineava la sua forza d’animo di fronte all’odio.

Koulibaly

Più recentemente, il difensore senegalese Kalidou Koulibaly, che all’epoca militava nel Napoli, subì cori razzisti durante una partita contro l’Inter nel 2018. L’episodio scatenò un’ondata di indignazione e portò Koulibaly a dichiararsi “orgoglioso del colore della mia pelle”, una presa di posizione potente, ma che sottolineava ancora una volta quanto fosse difficile sradicare queste pratiche.

Maignan

Nel gennaio del 2023, Mike Maignan, portiere francese del Milan, fu preso di mira durante una partita contro l’Udinese. Anche lui, come i suoi predecessori, decise di abbandonare il campo dopo aver denunciato gli insulti razzisti. La sua decisione ha ulteriormente acceso il dibattito sulla necessità di sanzioni più severe e immediate per fermare questi comportamenti.

Il caso Verona-Napoli e il razzismo verso i meridionali

Tuttavia, il razzismo in Italia non si limita al colore della pelle. Negli ultimi anni, il fenomeno ha assunto una forma diversa, diventando anche un’arma di intolleranza territoriale. Le offese rivolte ai tifosi napoletani durante i match contro squadre come l’Hellas Verona ne sono un chiaro esempio. Nel 2023, durante una partita tra Verona e Napoli, i tifosi scaligeri insultarono pesantemente i sostenitori partenopei, con frasi volgari che richiamavano stereotipi negativi legati all’appartenenza geografica. Episodi simili non fanno che dimostrare quanto l’intolleranza e l’odio, sia razziale che territoriale, siano ancora presenti negli stadi italiani.

Cosa prevede il regolamento?

In Italia, il calcio professionistico è regolato dalla Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC) attraverso le Norme Organizzative Interne (Noif), che includono misure specifiche per combattere la discriminazione durante le partite. L’articolo 62 delle Noif stabilisce che le società di calcio sono tenute ad adottare provvedimenti contro molestie, tra cui cori e altre manifestazioni discriminatorie legate a razza, colore, religione, lingua, sesso, nazionalità e origine etnica.

Nel 2019, il Consiglio Federale ha aggiornato l’articolo 62, introducendo una procedura chiara per affrontare i cori razzisti. In base a queste disposizioni, se un responsabile dell’ordine pubblico o un collaboratore della Procura Federale segnala la presenza di cori o striscioni razzisti, l’arbitro deve interrompere temporaneamente la partita. Durante questa interruzione, lo speaker dello stadio deve informare il pubblico sul motivo della sospensione, chiedendo di fermare e non ripetere i cori offensivi.

Se, al termine dell’interruzione, i comportamenti discriminatori continuano, l’arbitro ha la facoltà di sospendere nuovamente il match. Anche in questo caso, è prevista una comunicazione al pubblico. Se la partita è interrotta per oltre 45 minuti, sarà automaticamente considerata conclusa.

Esiste la possibilità di una strumentalizzazione di queste regole?

Purtroppo esiste la possibilità di una strumentalizzazione delle regole contro il razzismo nel calcio. Alcuni club e dirigenti possono tentare di utilizzare queste normative per coprire inefficienze o per giustificare comportamenti antisportivi.

Ci sono diversi aspetti da considerare:

  1. Uso strumentale da parte delle società: alcuni club potrebbero cercare di sfruttare le interruzioni per motivi di razzismo come un modo per evitare una sconfitta imbarazzante. In situazioni simili, le squadre avversarie potrebbero accusare la squadra che abbandona il campo di usare le norme contro il razzismo come scusa per nascondere la propria incapacità di competere.
  2. Critiche ai dirigenti e alle autorità: se i club o i dirigenti percepiscono che le misure contro il razzismo non sono applicate in modo coerente o giusto, potrebbero lamentarsi di una “caccia alle streghe” e accusare gli arbitri di essere eccessivamente severi. Questo potrebbe minare la credibilità delle regole stesse e portare a una diminuzione della loro efficacia.
  3. Reazioni del pubblico: le reazioni della tifoseria possono variare notevolmente. Ci sono sostenitori che potrebbero vedere le interruzioni per motivi razzisti come un attentato al “gioco”, alimentando divisioni e ostilità nei confronti di iniziative di tolleranza e inclusione.
  4. Ambiguità delle prove: determinare l’effettivo verificarsi di insulti razzisti durante le partite può essere complesso. Le accuse possono essere soggette a interpretazioni personali e potrebbero portare a conflitti tra le diverse parti coinvolte, inclusi i giocatori, le società e le autorità.
  5. Possibili abusi da parte dei tifosi: alcuni tifosi potrebbero tentare di creare situazioni di tensione durante le partite, provocando comportamenti di reazione da parte dei giocatori o delle squadre avversarie, nella speranza di interrompere il gioco a loro favore.

Cosa dovrebbe fare la FIGC?

Per trovare un equilibrio tra la lotta al razzismo e il contrasto dei “furbetti della sospensione”, la FIGC dovrebbe adottare un approccio multi-strategico che includa misure preventive, sanzioni chiare e un coinvolgimento attivo di tutte le parti interessate. Ecco alcune proposte concrete:

  • Formazione e sensibilizzazione: investire in programmi di formazione per giocatori, allenatori, dirigenti e tifosi sul tema del razzismo e delle sue implicazioni. Sessioni educative potrebbero aiutare a comprendere l’importanza di un ambiente inclusivo e le conseguenze delle azioni discriminatorie.
  • Sistemi di monitoraggio: implementare un sistema di monitoraggio delle partite che coinvolga osservatori imparziali e designati, che possano riferire in tempo reale su eventuali episodi di razzismo e su come vengono gestiti. Questi osservatori potrebbero contribuire a una valutazione più accurata delle situazioni problematiche.
  • Chiarezza nelle procedure di sospensione: stabilire linee guida più dettagliate per l’arbitro riguardo alla sospensione delle partite. Ad esempio, potrebbe essere utile definire esattamente quali situazioni giustifichino una sospensione e in che modo devono essere valutate le segnalazioni di razzismo.
  • Sanzioni graduali: introdurre un sistema di sanzioni graduato sia per i comportamenti razzisti che per l’abuso delle procedure di sospensione. Le società che non riescono a controllare i propri tifosi dovrebbero affrontare penalità crescenti, mentre le squadre che usano le norme contro il razzismo come scusa potrebbero essere soggette a sanzioni specifiche.
  • Comunicazione trasparente: pubblicare report regolari sulle misure adottate e sui risultati ottenuti nella lotta contro il razzismo, in modo che il pubblico possa vedere i progressi realizzati e le difficoltà affrontate. La trasparenza può contribuire a costruire fiducia nelle autorità calcistiche.
  • Creazione di un comitato di revisione: istituire un comitato indipendente che possa esaminare i casi di sospensione e valutare se ci sono state strumentalizzazioni. Questo organo potrebbe anche svolgere un ruolo di mediazione in situazioni di conflitto tra le parti coinvolte.

Implementando queste strategie, la FIGC potrebbe non solo affrontare il problema del razzismo nel calcio, ma anche garantire che le regole siano rispettate in modo equo, riducendo al contempo il rischio di abusi delle norme per scopi antisportivi.