randagismo-in-italiaIl fenomeno del randagismo è molto complesso e in Italia la situazione non è omogenea in tutto il Paese. Vediamo com’è la situazione del randagismo in Italia.


Il randagismo in Italia è un fenomeno molto complesso e disomogeneo: le percentuali di cani e gatti randagi, infatti, si concentrano maggiormente in alcune Regioni rispetto ad altre.

Vediamo quali sono i numeri del randagismo in Italia e com’è la situazione nel nostro Paese.

Randagismo in Italia: cosa s’intende per randagismo

Il randagismo è un fenomeno ecologico-dinamico, caratterizzato dalla presenza di cani e gatti vaganti sul territorio.

Si tratta di un fenomeno fortemente influenzato dalle capacità del territorio che li ospita e dall’atteggiamento delle persone nei loro confronti. Oltre ovviamente alle misure di controllo che vengono attuate, per tenerli sotto controllo.

Molto spesso parliamo di animali non sterilizzati, un elemento che porta ad una riproduzione incontrollata e quindi ad un sovrappopolamento di randagi.
Un animale randagio è estremamente vulnerabile, a causa dei numerosi rischi che può correre: investimenti, smarrimento, denutrizione e, ovviamente, malattie.

In alcune regioni italiani, esiste il fenomeno dei “cani di quartiere”, ovvero cani che sono certificati come “non pericolosi” e che sono identificati mediante microchip, oltre ad essere sterilizzati e vaccinati. Si tratta di cani che hanno uno status libero e che sono accuditi dai cittadini, con cibo e cucce disponibili per la notte.

I veri animali randagi sono quelli di cui non si ha un controllo e che quindi mancano di identificazione, sterilizzazione e cure sanitarie. È molto importante questa categorizzazione, per poter calcolare i numeri del fenomeno del randagismo in Italia.

La storia del randagismo in Italia

randagismo-in-italiaIl randagismo è sempre stato un fenomeno molto frequente in Italia, specialmente nelle regioni del Sud.
La svolta avvenne nel 1991 con la Legge Quadro 281/91, in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo.

Fino a quel momento, i canili servivano solamente a prevenire la rabbia. Gli animali trovati vaganti venivano portati nelle strutture e tenuti in osservazione per una decina di giorni, ovvero il tempo necessario per le manifestazioni sintomatiche dell’infezione.

Al termine dei 10 giorni, nel caso gli animali non fossero stati reclamati dal proprietario o da nessun adottante, sarebbero stati sottoposti ad eutanasia.

Perciò, possiamo dire che i canili (e i gattili) prima del 1991 erano solamente delle anticamere per la morte certa degli animali. Ma grazie alla Legge Quadro, venne introdotto il divieto di soppressione dei cani e dei gatti liberi e il modello di canile rifugio.

I canili rifugio sono delle strutture, di proprietà pubblica o privata, gestite da imprese private, associazioni animalistiche o a conduzione mista, che si occupano degli animali senza padrone, in attesa di una possibile adozione.

Spesso i canili rifugio sono convenzionati con alcuni studi veterinari, che si occupano del benessere degli animali ospitati.

Purtroppo, ad oggi, in Italia sono presenti diverse strutture, ma molte di queste sono sovraffollate, a causa di un tasso di adozione altalenante.

Oltretutto, a causa dei fondi limitati, spesso le strutture non sono idonee alla presenza di massa degli animali ospitati. Questo porta a diverse ripercussioni psico-fisiche sulla loro salute.

Randagismo in Italia: quali sono i dati

Dagli ultimi dati forniti dal Ministero della Salute, il randagismo in Italia è un fenomeno in diminuzione. Le notizie sono decisamente confortanti, soprattutto perché si accompagnano a dati che testimoniano l’aumento delle adozioni, sia per i cani che per i gatti.

I dati fanno riferimento al 2020 e sono stati trasmessi dalle regioni e dalle province autonome italiane. Bisogna, però, precisare che ci sono dei dati mancanti da parte delle regioni della Sicilia e della Calabria.

Secondo i dati, nel 2020, 76’192 sono entrati nei canili sanitari e 42’665 nei rifugi: si tratta di un trend positivo, soprattutto perché, nel 2019, gli animali nei canili sanitari erano 86’982, mentre quelli nei rifugi erano 45’695).

Inoltre, i cani adottati sono stati 42’360, mentre i gatti sterilizzati sono stati 61’749 (i dati del 2019 erano rispettivamente 29’512 e 61’588).

Sicuramente il periodo del lockdown ha reso molto più difficile il monitoraggio regionale e anche il salvataggio di molti animali (basti pensare alle varie staffette che avvengono quotidianamente per portare un animale in adozione), ma si tratta sicuramente di un fenomeno positivo.

Così come ha detto Massimo Comparotto, presidente dell’Oipa (Organizzazione internazionale protezione animali):

“Si tratta di un dato molto positivo, reso possibile tanto dall’aumento del numero dei volontari quanto da una maggiore sensibilità dimostrata dalle persone nei confronti di cani e gatti senza casa”.

Le differenze tra Regione e Regione, però, rimangono molto alte: esiste, infatti, un enorme divario tra Nord e Sud Italia in ambito di randagismo.
Il 67% dei cani presenti in Italia, che si trovano nei canili, si trova nel Mezzogiorno e il 43% dei canili è concentrato sempre al Sud.

Si tratta di uno squilibrio troppo importante per non poter essere preso in considerazione. Perciò sono nate diverse proposte dalle associazioni animaliste, come quella di Save The Dogs, associazione italiana impegnata nella lotta al randagismo e nella tutela degli animali, da oltre vent’anni.

La proposta è “Non uno di Troppo” e consiste nell’aiutare le Regioni nell’identificazione dei cani randagi, con azioni importanti come la sterilizzazione, l’iscrizione all’Anagrafe canina e la mappatura dei cani vaganti.


Fonte: articolo di redazione lentepubblica.it