quanto-spendono-comuni-anagrafe-elezioniTra i vari servizi offerti dai comuni al cittadino troviamo anche quelli relativi all’anagrafe e all’ufficio per le elezioni (elettorale): ma quanto spendono in tal senso? Ecco i dati emersi dalla ricerca di Openpolis.


I registri anagrafici contengono i dati identificativi dei residenti, necessari, tra le altre cose, anche per esercitare il diritto di voto.

L’identificazione del cittadino è infatti importante per poter esercitare i propri diritti, come quello del voto. Si tratta del primo vero servizio garantito da una comunità organizzata, dato che è la premessa di tutte le attività dell’ente. Di questo se ne occupa il comune: in quanto ente di prossimità, è quello che può agire con più facilità nell’eseguire questo tipo di funzione.

La residenza è infatti importante per garantire la facoltà di votare: quando ricorrono le elezioni nazionali è necessaria per determinare il seggio elettorale presso il quale recarsi per eleggere i propri rappresentanti nelle diverse elezioni, locali, nazionali e europee.

Queste ultime sono però in parte rimborsate dallo stato centrale in base ai documenti di rendiconto. Il ministero dell’interno decide l’ammontare e nel mese precedente all’evento elettorale lo stato e le regioni sono tenute ad erogare acconti pari al 90% delle spese presunte che vanno anticipate dalle amministrazioni.

Quanto spendono i comuni per anagrafe e elezioni?

All’interno della prima missione di spesa dedicata al funzionamento della macchina amministrativa, è inserita una voce in cui vengono contabilizzate le operazioni legate a questi due servizi particolarmente importanti per la vita delle comunità.

Nel dettaglio, sono incluse tutte le uscite per l’aggiornamento e il mantenimento dei registri della popolazione residente in Italia e all’estero, oltre alle spese per il rilascio di atti anagrafici e documenti specifici come per esempio le carte d’identità. Inoltre, sono compresi anche gli importi per notifiche e accertamenti domiciliari, che rientrano all’interno dei servizi demografici.

Nella medesima voce sono anche inserite le spese per l’aggiornamento delle liste elettorali, del rilascio dei certificati di iscrizione alle suddette liste, l’aggiornamento degli albi in cui sono inseriti presidenti di seggio e scrutatori.

Quali sono le città che spendono di più?

Messina, Torino e Padova sono le tre città con più di 200mila abitanti che spendono di più per i servizi dell’anagrafe e le consultazioni popolari. Sono uscite pari rispettivamente a 24,21 euro pro capite, 21,91 e 19,92. Si registrano invece valori minori a Trieste (13,73), Firenze (9,99) e Napoli (3,24).

eneralmente, gli andamenti di spesa sono stati piuttosto stabili. Dal 2017, Messina è sempre la grande città che spende di più tra quelle considerate. Inoltre, il capoluogo siciliano registra nel 2018 il valore di spesa maggiore degli ultimi sei anni (35,22 euro pro capite). Tra il 2016 e il 2021, solo Padova riporta un incremento nelle uscite, che è pari al 29%. Gli altri comuni invece vedono un calo. Il più consistente è quello di Roma (-25%).

Se invece si prendono in considerazione tutte le amministrazioni italiane, il valore medio di spesa è pari a 22,79 euro pro capite. I comuni che spendono di più sono quelli valdostani (83,22), trentini (43,71) e altoatesini (39,43) mentre uscite minori si registrano per quelli della Toscana (18,58), del Veneto (18,16) e della Puglia (13,80).

Infine le amministrazioni che spendono di più per anagrafe ed elezioni comunali si trovano in Valle d’Aosta. Si tratta di Ollomont (1.015,76 euro pro capite) e Rhemes-Notre-Dame (598,59). Seguono Monteferrante (Chieti, 526,85) e Rocca Canterano (Roma, 455,6). Sono quattro comuni particolarmente piccoli: stando ai dati Istat del 2021, si tratta di amministrazioni che non superano i 200 abitanti.

 


Fonte: Openpolis