La Corte di Cassazione ha stabilito che il datore di lavoro può ricorrere a un investigatore privato per verificare l’effettivo utilizzo dei permessi concessi ai sensi della Legge 104/1992, senza violare la privacy del dipendente.


La decisione arriva in seguito a un caso di licenziamento per giusta causa, scaturito dalle indagini commissionate da un’azienda per accertare se un lavoratore sfruttasse in modo improprio i permessi retribuiti destinati all’assistenza di un familiare disabile.

Il caso

Un dipendente di un’azienda, titolare di permessi ai sensi della Legge 104 per assistere la madre, è stato licenziato dopo che un’agenzia investigativa, incaricata dal datore di lavoro, aveva documentato un uso scorretto delle ore di permesso. Secondo le prove raccolte, il lavoratore, invece di prestare assistenza, utilizzava sistematicamente parte del tempo per svolgere attività personali, come uscite in bicicletta.

La Corte d’Appello di Brescia aveva già confermato la legittimità del licenziamento, evidenziando la reiterazione della condotta e il suo carattere sistematico. La sentenza è stata poi impugnata in Cassazione dal lavoratore, il quale ha contestato la violazione della propria riservatezza e la modalità con cui erano state raccolte le prove a suo carico.

La decisione della Cassazione

Con una recente ordinanza, la Suprema Corte ha respinto il ricorso del lavoratore, ritenendo infondati i motivi esposti. I giudici hanno chiarito che il controllo da parte di un’agenzia investigativa è legittimo, a patto che si limiti a verificare il corretto utilizzo dei permessi e non invada la sfera privata del lavoratore al di fuori dell’orario di lavoro.

Secondo la Cassazione, l’azienda ha agito nel rispetto della normativa vigente, raccogliendo prove lecite che dimostravano un comportamento scorretto da parte del dipendente. La decisione si inserisce in un quadro giurisprudenziale consolidato, che consente l’uso di investigatori privati per accertare eventuali abusi nei confronti di strumenti di tutela come i permessi retribuiti.

Implicazioni per i lavoratori e le aziende

Questa pronuncia conferma un orientamento già espresso in precedenza dalla giurisprudenza: il datore di lavoro può ricorrere a investigatori privati per verificare il rispetto delle norme da parte dei dipendenti, purché le indagini non sconfinino in un controllo invasivo della vita privata.

Per i lavoratori, la sentenza rappresenta un monito sull’uso corretto dei permessi previsti dalla Legge 104. Qualsiasi utilizzo improprio può costituire un motivo valido per il licenziamento, convalidato anche nei successivi gradi di giudizio.

Le aziende, dal canto loro, devono prestare attenzione a rispettare i limiti imposti dalla legge sulla protezione dei dati e sulla privacy, evitando controlli indiscriminati o eccessivamente invasivi.

Il diritto alla privacy non giustifica l’illecito

La decisione della Cassazione ribadisce il principio per cui il diritto alla privacy del lavoratore non può essere invocato per giustificare un comportamento illecito. L’abuso dei permessi retribuiti per finalità personali può legittimare il licenziamento, se supportato da prove raccolte in modo lecito. Con questa pronuncia, la giurisprudenza si conferma attenta a bilanciare le esigenze di tutela dei lavoratori con il diritto dell’azienda a proteggere la propria organizzazione da condotte scorrette.

Il testo della sentenza della Corte di Cassazione

Qui il documento completo.