Il nostro Paese ha la pressione fiscale più alta in Europa. Vediamo allora come migliorare la situazione con la pianificazione fiscale.
Per “pianificazione fiscale”, intendiamo il metodo con cui i contribuenti riescono a sfruttare le proprie fonti di reddito, per ridurre la base imponibile, in relazione al carico del prelievo fiscale. Si tratta di uno strumento che permette di ottimizzare il carico fiscale delle proprie attività.
È una soluzione di cui tenere conto, soprattutto per la situazione nel nostro Paese. In Italia, infatti, la pressione fiscale reale, calcolata al netto del sommerso, ha raggiunto ormai il 49%, diventando il livello più alto in Europa.
Proprio per questo, esistono alcuni accorgimenti utili a salvaguardare le imprese. Ecco come fare.
Come ridurre il carico fiscale
Il carico fiscale è l’importo complessivo di tutte le imposte che gravano sui singoli contribuenti o sulle imprese. Ma come possiamo attenuare questo carico?
Qui di seguito esaminiamo alcuni metodi utili in tal senso.
Ridurre la pressione fiscale passando da ditta individuale a Srl
Ogni ditta individuale può passare a Srl (Società a responsabilità limitata), in qualsiasi momento. Questo tipo di procedura può infatti produrre alcuni benefici a livello fiscale.
Una ditta individuale deve sottostare ad un’elevata pressione fiscale, con aliquote che possono arrivare anche al 43% e contributi previdenziali INPS pari al 23,5%.
Al contrario, in una Srl abbiamo:
- Un reddito imponibile del 24% di aliquota IRES;
- Una tassazione del 3,9% di IRAP.
Inoltre, passando da ditta individuale a Srl, è più semplice attuare una pianificazione fiscale, così da attenuare il carico fiscale.
Ridurre il carico fiscale con le royalties
Le royalties sono le somme di denaro che un’impresa ottiene quando cede la licenza di utilizzo del proprio marchio ad un altro soggetto o ad un’altra società.
Queste somme di denaro, in Italia, sono parzialmente detassate, poiché considerate come redditi diversi e, quindi, non soggetti a tassazione contributiva INPS.
L’imprenditore deve:
- Registrare il marchio a proprio nome;
- Concedere alla propria impresa l’utilizzo esclusivo del marchio;
- Ricevere le royalties dell’impresa che sta utilizzando il marchio, in maniera esclusiva.
Sfruttare i rimborsi per le trasferte per ridurre il carico fiscale
Spostarsi per lavoro, sia per lunghe che per brevi tratte, può essere molto frequente. Ma possiamo sfruttarlo per ridurre il nostro carico fiscale?
La risposta è affermativa: ogni spostamento per lavoro fa sì che i lavoratori ottengano delle indennità e queste indennità risultano completamente deducibili.
L’indennità nel caso specifico consiste nella copertura di alcuni costi sostenuti durante il viaggio in trasferta, come ad esempio: il costo della benzina, il prezzo dei biglietti o il costo del casello.
Per “trasferta”, intendiamo quando il lavoratore deve spostarsi provvisoriamente dalla normale sede di lavoro ad un altro luogo di lavoro. Si tratta, però, di un trasferimento con un limite di tempo circoscritto all’esigenza del datore di lavoro.
Va fatta comunque una distinzione tra:
- Le trasferte all’interno territorio comunale, per le quali la deducibilità non è integrale, bensì solo del 75%, come stabilito dalla circolare n° 6 dell’Agenzia delle Entrate;
- Le trasferte fuori dal Comune, per le quali sono previsti tre metodi diversi.
Per questo secondo tipo di trasferte lavorative, infatti, abbiamo i seguenti metodi di deducibilità:
- Analitico, che prevede che i rimborsi siano soggetti a diversi limiti di deducibilità, con alcuni limiti giornalieri previsti (180,76 euro per le trasferte in Italia e 258,23 euro per le trasferte all’estero);
- Forfettario: in questo modo, le spese per il vitto e l’alloggio possono essere detratte interamente dal reddito, ma se si supera il limite, la parte eccedente è tassata al dipendente;
- Misto, che prevede entrambe le misure, con un rimborso analitico delle spese di vitto e alloggio e un’indennità di trasferta.
Come abbattere l’utile
Possono esserci diversi metodi per poter ridurre l’utile di un’impresa.
Uno di questi è l’utilizzo dei buoni pasto, ovvero quel mezzo di pagamento, dal valore predeterminato, utile per acquistare esclusivamente pasti o prodotti alimentari.
L’utilizzo dei buoni pasto può ridurre l’utile dell’impresa e rappresenta una modalità interessante di pianificazione fiscale, poiché i buoni pasto:
- Sono più economici di un’indennità, nella busta paga;
- Hanno un’Iva del 4%, completamente detraibile;
- Sono deducibili al 100%.
Ma attenzione, occorre fare una distinzione.
I buoni pasto non vengono tassati, purché essi non superino i
- 4 euro per i buoni pasto cartacei;
- 8 euro per i buoni pasto elettronici.
La suddetta limitazione è stata fissata dalla Legge di Bilancio 2020. Se i buoni pasto superano questi limiti entrano nella categoria dei fringe benefit, ovvero i benefici accessori, che vengono parzialmente tassati.
Un altro modo per ridurre l’utile di un’impresa è il TFM (Trattamento di Fine Mandato). Si tratta, infatti, di un’indennità di Cessazione di Carica, prevista per gli amministratori di un’azienda. A differenza del TFR, riservato ai dipendenti, il TFM è facoltativo.
Il TFM è un costo deducibile che abbassa la base imponibile, sulla quale applicare l’IRES al 24%. Oltretutto, l’amministratore potrà beneficiare della somma con una tassazione agevolata.
Fiscalità internazionale
Infine, chiudiamo parlando della pianificazione fiscale internazionale, che permette alle imprese di coordinare le attività economiche svolte all’estero, con alcuni strumenti che puntano ad attenuare il carico fiscale complessivo.
Per questo, si tratta di un’ottima opportunità per le aziende e le imprese di avere un risparmio sull’imposta.
Bisogna, però, prestare attenzione: per ritenersi legittima, occorre rispettare le norme previste dagli ordinamenti fiscali, nei quali si trova ad operare il contribuente, rispettandone sia la normativa fiscale che le finalità, per non cadere nel rischio di un’evasione fiscale.
Fonte: articolo di redazione lentepubblica.it