La Corte di Cassazione accoglie il ricorso di un lavoratore che si era visto comprimere il diritto alle ferie.
Questo per aver fruito più volte nell’anno i permessi mensili di cui alla legge 104 del 1992 per assistere un congiunto in condizione di disabilità.
I giorni di permesso accordati per assistere il familiare disabile non possono ridurre le ferie. In quanti essi hanno natura speciale e, pertanto, devono concorrere pienamente alla determinazione dei giorni di ferie maturati. Lo ha precisato la Corte di Cassazione con l’ordinanza numero 2466 del 31 Gennaio 2018 in cui i giudici di Piazza Cavour sono tornati nuovamente sugli effetti della fruizione dei tre giorni di permesso mensile riconosciuti ai lavoratori dipendenti sugli altri istituti che regolano il rapporto di lavoro dipendente.
La questione verteva sulla domanda di lavoratore dell’AMA, la municipalizzata di Roma che gestisce la raccolta dei rifiuti, che aveva contestato la riduzione del periodo di ferie annuali a causa della fruizione dei permessi mensili di cui all’articolo 33, co. 3 della legge 104/1992. Il ricorso del lavoratore era stato già accolto dai tribunali di merito ma l’azienda era comunque ricorsa per Cassazione chiedendo un nuovo esame della controversia.
La natura speciale dei permessi mensili
I Giudici nel dare ragione alle doglianze del lavoratore osservano come i permessi mensili per l’assistenza ai disabili godano di una protezione diversa rispetto al congedo parentale ordinario e il congedo per malattia del figlio la cui fruizione, invece, incide anche sulla fruizione delle ferie (salvo i contratti collettivi non dispongano diversamente). Secondo la Cassazione non è determinante la presunta disparità di trattamento a danno delle lavoratrici madri (le quali prevalentemente assolvono alla cura della prole e godono dei congedi parentali) rispetto ai soggetti che prestano assistenza a un familiare affetto da handicap grave.
I giudici osservano che “a differenza dei permessi previsti dall’art. 33, commi 2 e 3, che hanno sempre durata limitata, il congedo parentale e l’astensione facoltativa possono essere richiesti per un periodo più prolungato, tale da determinare una significativa sospensione della prestazione lavorativa e da giustificare un diverso trattamento economico rispetto ai permessi”. Per questi congedi, infatti, compete un’indennità inferiore alla retribuzione normale diversamente dall’indennità per i permessi ex lege n. 104 del 1992 che è commisurata all’intera retribuzione percepita dal lavoratore durante il rapporto di lavoro.
La diversa e peculiare natura dell’istituto dei permessi di cui alla legge 104 si rinviene anche dalla normativa interna – in primis dagli artt. 2, 3, 38 Cost. – ed internazionale – quali sono la Direttiva 2000/78/CE del Consiglio del 27 novembre 2000 e la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità ratificata e resa esecutiva in Italia con L. 3 marzo 2009, n. 18. Tale convenzione, ricordano i giudici, prevede il sostegno e la protezione da parte della società e degli Stati non solo per i disabili, ma anche per le loro famiglie, ritenute strumento indispensabile per contribuire al pieno ed uguale godimento dei diritti delle persone con disabilità.
La tesi della Cassazione
In definitiva, concludono i giudici, i permessi mensili per l’assistenza ai disabili sono tesi a scongiurare qualsiasi incidenza negativa sul rapporto di lavoro dipendente. Non si deve limitare o disincentivare il diritto del lavoratore alla loro fruizione.
E questa loro diversità si riverbera:
- sia in materia di trattamento economico che durante il periodo di permesso resta agganciato alla retribuzione piena,
- sia relativamente al diritto alla maturazione delle ferie che non può, pertanto, risultare compresso dalla fruizione dei permessi.
La Corte di Cassazione ha, quindi, accolto la tesi del lavoratore. I permessi, accordati per l’assistenza di un familiare portatore di handicap, concorrono nella determinazione dei giorni di ferie maturati dal lavoratore che ne ha beneficiato.