olioSette aziende italiane produttrici di olio sono accusate di avere messo in vendita bottiglie di extravergine che in realtà non lo era, quindi meno costoso nel processo di produzione e di qualità inferiore.

 

L’inchiesta giudiziaria è stata avviata dalla procura di Torino in collaborazione con i NAS dei Carabinieri. Le aziende coinvolte sono alcune delle più importanti del settore: Carapelli, Bertolli, Sasso, Coricelli, Santa Sabina, Prima Donna e Antica Badia. Sono state iscritte nel registro degli indagati con l’accusa di frode in commercio, ha spiegato il pubblico ministero Raffaele Guariniello, già noto per avere avviato altre inchieste giudiziarie in passato legate ai prodotti alimentari e alle loro presunte contraffazioni. L’indagine della procura è nata in seguito alla segnalazione della rivista Il Test, che si occupa di eseguire prove di vario tipo sui prodotti in vendita per tutelare i consumatori.

 

La rivista aveva fatto analizzare 20 bottiglie di olio extravergine di oliva e nove di queste non avevano superato i test, perché il loro contenuto non era corrispondente a quanto dichiarato in etichetta. Gli esami erano stati condotti dal laboratorio chimico dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, portando all’invio di vari esposti presso la procura di Torino. Per essere definito extravergine, l’olio deve essere estratto unicamente tramite la spremitura meccanica delle olive e deve avere un’acidità inferiore o uguale allo 0,8 per cento.

 

Se invece il livello di acidità è sopra lo 0,8 per cento e fino al 2 per cento si parla di olio di oliva vergine, ottenuto sempre tramite la sola estrazione con metodi meccanici, ma meno costoso perché di qualità inferiore. Ci sono poi altri elementi che sono tenuti in considerazione durante i cosiddetti “panel test”, le prove obbligatorie eseguite dagli assaggiatori di olio per valutare il prodotto nel suo complesso, con particolare attenzione all’aspetto, al colore e naturalmente al sapore. Nel corso degli anni i controlli hanno permesso di identificare diverse tecniche utilizzate da alcuni produttori per contraffare l’olio, in modo da spacciarlo per extravergine anche se tecnicamente non lo è.

 

Il metodo più usato consiste nel miscelare all’extravergine vero e proprio più tipi di olio di oliva di qualità inferiore, spesso proveniente da altri paesi. La legge consente di farlo, ma solo entro certi limiti e a patto che l’operazione sia indicata chiaramente sull’etichetta. Altre pratiche prevedono l’aggiunta di olii che non c’entrano nulla con le olive e che servono per alterare l’aspetto del prodotto, aggiungendo per esempio coloranti naturali o altri additivi per mascherare il sapore. Il ministro Maurizio Martina ha spiegato che il governo segue “con attenzione l’evoluzione delle indagini, perché è fondamentale tutelare un settore strategico come quello dell’olio di oliva italiano”.

 

Martina ha anche spiegato che negli ultimi mesi sono stati intensificati i controlli, con 6mila analisi e sequestri di materiale per 10 milioni di euro. Non solo la frode in commercio. Si profila anche “la vendita di prodotti industriali con segni mendaci”, reato punito con il carcere fino a due anni, nell’ inchiesta della procura di Torino sull’olio di oliva extravergine che extravergine non é. Ed é proprio la maggiore gravità della contestazione che ha indotto la procura di Torino a trasferire l’ inchiesta laddove ‘ l’ oro verde’ viene prodotto. La palla passa così ai magistrati di Firenze, Genova, Spoleto e Velletri, che dovranno ora portare avanti gli accertamenti nei confronti dei rappresentanti legali delle sette aziende coinvolte.

 

La notizia del trasferimento dell’ inchiesta “per competenza territoriale” é stata diffusa con un comunicato ufficiale in cui si spiega che la decisione é stata presa dal pm Raffaele Guariniello, che aveva avviato l’ inchiesta “nel quadro della sua nota e doverosa attenzione alla tutela della salute dei consumatori”, e “in piena intesa con il procuratore Armando Spataro”. Il nuovo reato contestato, che ha portato allo svolta, scaturisce dalle ulteriori indagini effettuate dai carabinieri del Nas e dall’ Agenzia delle Dogane e dei Monopoli. Le stesse indagini che le aziende coinvolte nella vicenda contestano. E chiedono di ripetere. Come Deoleo, gruppo spagnolo che gestisce i marchi Bertolli, Carapelli e Sasso.