sesso moglie costrizioneCommette reato di violenza chi costringe la moglie a fare sesso, anche se lei è apparentemente consenziente? La risposta arriva dalla Corte di Cassazione, sentenza n. 9690/16.

 


 

Secondo il Codice civile, «con il matrimonio il marito e la moglie acquisiscono gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri». Ma per la Cassazione, non c’è scritto da nessuna parte che uno dei coniugi abbia il diritto al compimento di atti sessuali inteso come mero sfogo all’istinto sessuale contro la volontà del partner.

 

Argomenta il difensore ricorrente che la Corte d’appello avrebbe ritenuto compatibile la descrizione dell’episodio di violenza sessuale con il ristrettissimo lasso temporale (5-10 secondi) che la donna stessa riferisce, e avrebbe ritenuto attendibile il racconto della parte lesa alla luce del comportamento tenuto dopo il fatto.

 

Si sofferma il ricorrente sulla motivazione con cui la Corte d’appello aveva accordato piena credibilità alla donna, sul rilievo che dopo la sconvolgente novità del fatto (abuso sessuale), la stessa aveva tenuto un comportamento come in stato di trance (intrattenere conversazioni via chat con il computer), comportamento tipico della donne sottoposte a violenza sessuale, sicché era credibile il suo racconto.

 

Tale motivazione sarebbe ictu oculi illogica poiché argomenta che l’irrazionale comportamento post factum sarebbe conseguenza di pregresse condotte violente e psicologiche del marito che avrebbero causato, come accade nelle donne sottoposte a violenza domestica, l’annientamento psicologico che giustificava la normalità del comportamento tenuto dopo l’abuso, motivazione già di per sé illogica e, comunque, fondata sull’indimostrata circostanza di pregresse condotte violente del coniuge.

 

L’esclusione della circostanza attenuante del fatto di minore gravità ex art. 609-bis comma 3 cod.pen. è stata motivata in ragione della gravità del fatto, per le modalità con cui è stata perpetrata la violenza sessuale, integrata dalla valutazione delle componenti soggettive, e cioè della situazione di sofferenze pregresse famigliari della stessa parte lesa da cui l’evidente maggior pregiudizio per la psiche della donna. Motivazione congrua e che non appare illogica e/o contraddittoria, ed è rispettosa dei principi, da ultimo, affermati in tema che questa Corte.

 

La Corte d’appello è pervenuta all’esclusione del riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 609-bis comma 3 cod.pen., sulla base di un percorso motivazionale incensurabile e rispettoso dei principi, da ultimo, affermati dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui “ai fini del riconoscimento della diminuente per i casi di minore gravità di cui all’art. 609-bis, ultimo comma, cod. pen., deve farsi riferimento ad una valutazione globale del fatto, nella quale assumono rilievo i mezzi, le modalità esecutive, il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche e psicologiche di quest’ultima, anche in relazione all’età, mentre ai fini del diniego della stessa attenuante è sufficiente la presenza anche di un solo elemento di conclamata gravità”.

 

In allegato la Sentenza della Corte di Cassazione.