Il Ddl sul ritorno del nucleare in Italia è arrivato a Palazzo Chigi, con richiesta di iscrizione all’ordine del giorno della prima riunione utile del Consiglio dei ministri: scopriamo luci e ombre in questa proposta di legge.
Forte della spinta Europea che ha inserito l’energia nucleare tra le attività sostenibili previste dal regolamento Ue Tassonomia (2020/852 del parlamento europeo e del consiglio, del 18 giugno 2020), del relativo regolamento delegato (2022/1214 della commissione europea del 9 marzo 2022), oltre che dalla relazione finale del gruppo di esperti tecnici sulla finanza sostenibile del marzo 2020 (Taxonomy: Final report of the Technical 2 Expert Group on Sustainable Finance), il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto l’ha posto il 23 gennaio scorso sul tavolo della presidenza del consiglio, insieme ad una dettagliata relazione tecnica.
La struttura del disegno di legge, che in sintesi darebbe nuovo mandato all’esecutivo per andare avanti verso questa possibilità di tornare ad utilizzare tecnologia nucleare per generare energia è quello di una classica legge delega con quattro articoli che partendo dalle finalità, recano poi l’oggetto, i principi alla base della norma e il dato economico relativo all’impegno di spesa.
Nucleare in Italia: cosa prevede il nuovo Ddl?
Con l’approvazione del ddl il Governo dovrebbe essere delegato ad adottare, entro 24 mesi dall’entrata in vigore, uno o più decreti legislativi per intervenire con una regolamentazione sulle materie di riferimento, nello specifico:
- la completa riorganizzazione delle competenze e delle funzioni in materia;
- l’adeguamento della normativa italiana alle disposizioni europee e agli accordi internazionali;
- la produzione di energia nucleare sostenibile sul territorio nazionale, anche ai fini della produzione di idrogeno;
- la disattivazione e lo smantellamento degli impianti esistenti;
- la localizzazione, costruzione ed esercizio di nuove centrali nucleari e impianti di stoccaggio temporaneo dei rifiuti radioattivi;
- la gestione dei rifiuti radioattivi e del combustibile nucleare esausto;
- la ricerca, lo sviluppo e l’utilizzo di energia da fusione nucleare.
Secondo le dichiarazioni del ministro rese alla stampa, questo “disegno di legge delega conterrà tutti gli elementi ad oggi necessari per abilitare il nuovo nucleare quale tecnologia per la transizione, a partire dall’elaborazione e l’adozione di un Programma nazionale per il nucleare sostenibile. Saranno altresì inseriti criteri per la riforma della governance del settore, a partire da un’Autorità di sicurezza nucleare, per la definizione di un procedimento autorizzativo degli impianti, e per il potenziamento del know-how settoriale.”
Rottura con i modelli precedenti
Il nostro Paese non si candiderebbe ad ospitare grandi centrali come quelle esistenti all’estero, a noi vicine di Francia e Germania, ma alle centrali cosiddette di quarta generazione raffreddati a piombo, che si alimentano anche con delle scorie, e ai piccoli reattori modulari.
L’approccio è esplicitato nella relazione di accompagnamento che dichiara la volontà di operare una “completa rottura con le esperienze nucleari precedenti, in particolare con gli ex impianti nucleari installati in Italia -definiti di ‘prima’ o ‘seconda generazione’- i quali appartengono a un passato tecnologico ormai superato”.
Si parla di nucleare di quarta generazione già dal lontano 2022. Ma che cos’è? Può davvero essere la chiave per superare sia la crisi energetica che le criticità del nucleare del passato?
Mariano Tarantino, Responsabile della Divisione Sicurezza e sostenibilità nucleare in una intervista di qualche tempo fa, esprimeva fiducia in un nucleare di nuova generazione sicuro e affidabile seppure basato sempre sulla controversa azione di rilascio energetico da fissione. Attualmente sono in esercizio ancora reattori di I generazione e di III, un’evoluzione di quelli di II, la maggioranza di quelli operanti.
Nucleare di quarta generazione: di cosa si tratta?
La nuova generazione di centrali con reattori refrigerati a piombo liquido (Lead-cooled Fat Reactor – LFR) – spiegava Tarantino nell’intervista – potrebbe vedere l’Italia all’avanguardia e secondo le valutazioni ed analisi del gruppo di ricerca proprio questi sistemi di raffreddamento risultano essere oggi la tecnologia più promettente per il salto alla IV generazione. Grazie a queste proprietà uniche – continua il ricercatore – non si sono evidenziati, in 20 anni di studi, scenari incidentali che determinino la famigerata ‘fusione del nocciolo’ ed in caso di eventi climatici estremi, attacchi terroristici o anche azioni di sabotaggio dell’impianto la tecnologia disponibile sarebbe in grado di far tornare automaticamente il reattore ad una situazione controllabile.
Rispetto alla altra enorme criticità atavica della tecnologia, la gestione di rifiuti e scorie, cioè scarti del processo di fusione la risposta è molto positiva, vista la possibilità che […] il combustibile esausto possa essere riciclato (operando in un “ciclo chiuso”), “riutilizzandone le componenti e riducendo le scorie effettivamente prodotte alle sole “ceneri” della fissione. La radioattività di tali ceneri, prive di plutonio e di altri componenti altamente radioattivi che vengono completamente riutilizzate, è inoltre tale da decadere in tempi enormemente inferiori (300-400 anni) rispetto a quelli del combustibile esausto degli impianti odierni (circa 100.000 anni), con un’evidente semplificazione delle tecniche di stoccaggio e confinamento”.
Poca fiducia in Italia verso questo tipo di energia
Molti dati positivi dunque dalla comunità scientifica, ma permane la poca fiducia in una tecnologia rigettata dal nostro Paese anche attraverso un noto referendum, quello del 1987, che valse l’abbandono della energia prodotta dalle centrali nucleari in Italia a furor di popolo. A riprova di ciò la lista dei siti idonei ad ospitare scorie nucleari provenienti dalla dismissione delle vecchie centrali ha generato una vera e propria rivolta anche tra i sindaci oltre che da parte di associazioni ambientaliste locali e nazionali, nessuno territorio vuole ospitare i rifiuti nucleari e sembra che per fungere da deposito nazionale di scorie si sia autocandidato un solo Comune. Poco importa, per ora, che nel decreto , la legge-delega, in esecuzione di precise prescrizioni Europee, preveda l’istituzione di una Autorità indipendente, con compiti di verifica della sicurezza delle strutture e con compiti di regolazione, vigilanza oltre che di controllo sulle infrastrutture nucleari.
A questa prima non banale criticità si somma qualche dubbio costituzionale sulla validazione di un disegno di legge che ha visto una precisa posizione degli Italiani assunta in ben due referendum popolari che ha raggiunto il quorum, l’ultimo nel 2011, valevole a tutti gli effetti normativi. In realtà esiste la possibilità di superare il bando popolare del nucleare laddove, secondo la Corte Costituzionale si sia «Determinato, successivamente all’abrogazione, alcun mutamento né del quadro politico, né delle circostanze di fatto» (Corte costituzionale, sent. 199/2012). È chiaro che la normativa europea e la crisi energetica e climatica rappresentano circostanze importanti al punto da rappresentare dei reali mutamenti nella situazione pregressa.
Quali sono i tempi previsti?
Ma la criticità maggiore, probabilmente, è rappresentata dai tempi prospettati. I sistemi LFR-Gen. IV, secondo le prospettive analizzate potranno produrre energia elettrica a livello commerciale entro il 2030, la road map temporale presentata dal ministro individua entro 24 mesi dall’entrata in vigore della legge delega, l’avvio dei decreti attuativi, che dovranno essere adottati dettagliare le strade da intraprendere man mano che emergeranno i contorni delle sperimentazioni in corso. Si tratta di un percorso a tappe che credo arriverà a traguardo per la fine del 2027 e che dovrebbe essere il pilastro centrale di una strategia a più punti d’appoggio che concorra alla strategia di raggiungimento degli obiettivi di neutralità carbonica al 2050.
Siamo dunque ancora in tempo? Per il 2030 siamo molto al limite e per gli anni seguenti che verranno oppure la crisi è ora e il 2030 potrebbe davvero già un tempo troppo tardi per tutti noi? Siamo sicuri che non esistano nel nostro Paese alternative, fonti davvero rinnovabili, pulite e sostenibili? Ai posteri l’ardua sentenza.