Perdere una causa è sempre un grande danno, oltre alla sentenza negativa, porta con sé anche spese legali quasi sempre elevate: ma se avessimo il dubbio che l’avvocato non ha fatto del suo meglio o addirittura è colpevole di negligenza?


Ai sensi degli artt. 2236 e 1176 c.c. l’avvocato è considerato responsabile nei confronti del proprio cliente se svolge il suo compito con incuria o ignora alcune disposizioni di legge e nei casi in cui, per negligenza o imperizia, comprometta l’esito positivo del giudizio finale.

La responsabilità professionale dell’avvocato non è però automaticamente verificata nel caso ci si accorga di un non corretto adempimento dell’attività professionale.  Il cliente dovrà verificare e provare che ha subito un danno riconducibile alla condotta del legale, inoltre va accertato oltre al danno che, qualora l’avvocato avesse tenuto la condotta dovuta, ci sarebbe stato un esisto positivo del procedimento.

Negligenza dell’avvocato, scatta la sospensione dall’ordine

Il Consiglio Nazionale Forense (CNF), con la sentenza n. 134/2024 ha confermato la sanzione disciplinare decisa dal Consiglio Distrettuale di Disciplina di Brescia nei confronti di un avvocato ritenuto colpevole di negligenza nei confronti del proprio cliente. Il legale è stato sospeso per otto mesi dall’albo per non aver controllato le PEC ricevute durante un importante procedimento che stava seguendo, cosa che non gli aveva permesso di accorgersi dell’opposizione della controparte a un decreto ingiuntivo del valore di oltre 100mila euro.

Alla grave mancanza di attenzione l’avvocato aveva aggiunto un gran numero di ‘bugie’ poiché per nascondere il fatto di non essersi accorto del ricorso aveva ripetutamente negato al proprio cliente l’esistenza stessa dell’opposizione al decreto, “così continuando a fornire una falsa rappresentazione della realtà fattuale, ma soprattutto dichiarando l’incapacità di assumersi la responsabilità della c.d. svista” si legge nella sentenza. A nulla è valsa la difesa sommaria del legale che aveva affermato essersi trattato semplicemente di una “svista”.

Tuttavia, per il CNF, tale affermazione è solo un tentativo di mascherare un comportamento gravemente negligente soprattutto poiché l’esperienza e la professionalità dell’avvocato avrebbero dovuto fargli tenere alta l’attenzione sapendo che la controparte avrebbe potuto presentare un’opposizione.

Cosa afferma il Codice Deontologico Forense?

Manifesta negligenza dunque individuata dall’art. 26, comma 3, del Codice Deontologico Forense che recita: “costituisce violazione dei doveri professionali il mancato, ritardato o negligente compimento di atti inerenti al mandato o alla nomina, quando derivi da non scusabile e rilevante trascuratezza degli interessi della parte assistita”.

Evidente e non giustificabile trascuratezza degli interessi del cliente aggravata dalla consapevole della possibilità che la controparte presentasse un’opposizione, motivo per il quale avrebbe dovuto prestare maggiore attenzione al controllo delle comunicazioni via PEC.

Non avendo individuato per tempo l’opposizione, l’avvocato non si è costituito nel giudizio di opposizione violando anche gli artt. 9, 10 e 12 del Codice Deontologico fornendo al cliente indicazioni e consigli più motivati dal nascondere le sue reali responsabilità derivanti dall’aver trascurato il controllo della PEC.

L’ammissione di una distrazione o confusione, secondo le decisioni del Consiglio Forense, non rappresentano una scusante per il comportamento tenuto né tantomeno annullano la responsabilità dell’avvocato nel curare e perseguire gli interessi del cliente.


Fonte: articolo di Rossella Angius