Nell’ambito del convegno “Mercato del lavoro e Jobs Act” è stato presentato un documento di analisi e proposte su costo del lavoro, flessibilità e organizzazione del lavoro, semplificazione, politiche attive/passive e servizi per il lavoro, salario orario minimo.

Tra il 2007 e il 2013 il Pil italiano è sceso dell’8,3%, una riduzione senza precedenti nella nostra storia economica che ha fortemente ampliato il divario con i principali partner internazionali. Nel contempo, l’economia italiana si è sempre più terziarizzata: attualmente nei servizi di mercato opera il 42,4% del totale degli occupati, mentre il valore aggiunto prodotto rappresenta il 40,7% del totale.

I servizi di mercato sono dunque, nei fatti, il motore della crescita e sembrerebbe logico tenerne conto nei provvedimenti legislativi di riforma del mercato del lavoro valorizzando le leve in grado di mobilitare al massimo le energie competitive presenti nel sistema economico. E’ da queste premesse che parte il documento di analisi e proposte “Il lavoro, l’impresa e il mercato”, realizzato da Confcommercio e presentato nell’ambito del convegno “Mercato del lavoro e Jobs Act”, svoltosi a Roma presso la sede  confederale.

Il testo individua, in estrema sintesi, cinque ambiti di intervento per i quali vengono formulate le relative proposte (vedi documento allegato, ndr): costo del lavoro, flessibilità e organizzazione del lavoro, semplificazione, politiche attive/passive e servizi per il lavoro, salario orario minimo. Per quanto riguarda il primo aspetto, il costo del lavoro, Confcommercio sottolinea che serve “un approccio strutturale, mirato a ridurre nel tempo la forbice tra costo del lavoro e retribuzioni”.

In questa direzione “è apprezzabile l’obiettivo di intervenire sull’Irap, anche se le modalità individuate lasciano fuori una significativa quota di lavoro e non prevedono meccanismi di bilanciamento per quelle imprese che vedono comunque crescere l’occupazione, anche se utilizzano contratti a tempo determinato, comprese quelle che svolgono attività a carattere stagionale”. Passando alla flessibilità e organizzazione del lavoro, si sottolinea che i nuovi istituti come il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti “non possono di per sé sostituire quelle tipologie contrattuali flessibili che hanno consentito nell’ultimo decennio di restituire qualità concorrenziale e vitalità occupazionale a comparti strategici per il nostro Paese”.

Confcommercio teme che la normativa contenuta nel Jobs act riduca le tipologie contrattuali, fatto che “sarebbe oltremodo controproducente” perché “maggiori opzioni per le assunzioni aumentano le opportunità di impiego”. Mentre sull’articolo 18 si richiama l’attenzione sul rischio che l’indennizzo economico per il licenziamento illegittimo “assuma dimensioni tali da risultare ancora una volta sproporzionato rispetto al panorama internazionale”.

Detto della semplificazione, nell’ambito della quale si punta soprattutto a “semplificare le procedure e gli adempimenti sulla gestione del rapporti di lavoro e sugli adempimenti burocratici di tipo amministrativo”, il documento suggerisce che nel coordinamento tra politiche attive e passive “è centrale il ridisegno di ogni intermediazione inefficace rispetto ai risultati prodotti e di ammortizzatori non solo ‘assistenziali’. In particolare, accanto alla cassa integrazione deve trovare collocazione “lo strumento più universale per la tutela della disoccupazione, con durate congrue, senza scivolare dentro il rischio di assistenza prolungata, disincentivante per una piena ricollocazione”.

Sul salario orario minimo, infine, si sottolinea che per i settori rappresentati da Confcommercio la centralità del Contratto collettivo nazionale “è fattore di apprezzamento da parte delle imprese che continuano a riconoscersi in questo strumento che ha saputo coniugare nel tempo esigenze organizzative e tutele”.

 

 

FONTE: Confcommercio

 

 

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