Strumento indispensabile, ma con tanti limiti. Lo standard della Pec non è riconosciuto a livello internazionale. Nel Registro Imprese molti indirizzi Pec sono non funzionanti. Non è ancora stato istituito il Registro degli indirizzi Pec del cittadino. Il limite dei 30 MB rende poco agevole l’invio delle pratiche

La PEC, acronimo di Posta Elettronica Certificata, è regolata dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 68 dell’11 febbraio 2005 (emanato a norma dell’art. 27 della Legge 16 gennaio 2003 n. 3); le imprese e i professionisti sono obbligati a munirsene come previsto dall’articolo 16 del Decreto Legge n. 185 del 29 novembre 2008.

L’invio di un messaggio tra due indirizzi PEC è valido agli effetti di legge al pari di una raccomandata con avviso di ricevimento. Nella pratica, a seguito del buon fine della trasmissione, il mittente riceve due ricevute che dimostrano, rispettivamente, la spedizione e la consegna del messaggio di posta elettronica complete di data e ora opponibili ai terzi.

Le ricevute generate dal sistema sono firmate digitalmente dal gestore di PEC a mezzo di un certificato accreditato. Importante è sottolineare come la ricevuta di consegna del messaggio PEC è indipendente dalla lettura dello stesso da parte del destinatario (si vedano a tal proposito le recenti pronunce del Tribunale di Mantova, sez. Lavoro, n. 98 del 3/6/2014 e della Corte d’Appello di Bologna del 30 maggio 2014 e anche Cassazione Civile n. 15070/2014 che rispondono negativamente alla questione se la mancata “apertura” del messaggio PEC – dovuta a incapacità informatica nell’aprire gli allegati o a seguito di password smarrita o sconosciuta – possa incidere sul momento perfezionativo della notifica).

Il costante monitoraggio della casella di Posta Elettronica Certificata è diventato quindi un onere a cui non ci si può sottrarre.

La PEC oggi è uno strumento indispensabile per l’avvocato, il quale la utilizza: per l’invio di comunicazioni a valore legale (art. 4 del D.P.R. n. 68/2005); per ricevere le comunicazioni e notificazioni telematiche da parte degli Uffici Giudiziari (art. 4 del Decreto Legge n. 193  del 29 dicembre 2009) anche in tutti quei casi in cui sarebbe prevista la notifica in cancelleria (art. 16 sexies del Decreto Legge n. 179 del 18 ottobre 2012 introdotto con il Decreto Legge n. 90 del 24 giugno 2014); per comunicare con gli organi delle procedure concorsuali e fallimentari; per depositare telematicamente gli atti presso il Tribunale e anche, se lo ritiene utile, per notificare autonomamente (senza passare dall’Ufficiale Giudiziario) gli atti in materia civile e stragiudiziale a norma della Legge n. 53 del 21 gennaio 1994, così come modificata negli ultimi anni per adeguarsi allo strumento telematico (per la notifica in proprio a mezzo PEC degli atti in materia amministrativa mancherebbero ancora le specifiche tecniche).

Dal 15 dicembre 2013 sono stati istituiti persino i Pubblici Elenchi validi per le notificazioni e comunicazioni degli atti in materia civile, penale, amministrativa e stragiudiziale (definizione introdotta dall’art. 16 ter del D.L. n. 179/2012 ), tra cui il Registro delle Pubbliche Amministrazioni, il Registro Imprese, il Registro Generale degli Indirizzi Elettronici (ReGIndE) e L’Indice Nazionale degli Indirizzi di Posta Elettonica Certificata (INI-PEC – consultabile dal sito www.inipec.gov.it). Non ancora istituito risulta invece il Registro delle PEC dei cittadini.

Il Decreto Legge n. 90/2014, inoltre, nell’ottica di incentivare l’utilizzo di questo strumento e delle notifiche eseguite direttamente dagli avvocati, ha modificato in parte la Legge n. 53/1994, eliminando l’obbligo per l’avvocato che intende effettuare una notifica a mezzo PEC di richiedere in via preventiva l’autorizzazione dell’Ordine di appartenenza e con esenzione dal pagamento dei diritti di notifica.

Lo stesso Decreto ha, inoltre, introdotto il comma 9 bis nell’art. 16 bis del D.L. n. 179/2012. Questo comma equipara all’originale la copia informatica degli atti (anche se presenti sotto forma di copie informatiche per immagine) e dei provvedimenti presenti nei fascicoli informatici relativi ai procedimenti contenziosi civili e di volontaria giurisdizione, delle esecuzioni e delle procedure concorsuali (i procedimenti previsti dall’art. 16 bis D.L. n. 179/2012 per il deposito dei quali, in parte, è stato previsto l’obbligo di trasmissione telematica all’Ufficio Giudiziario dal 30 giugno 2014). Prevede altresì la possibilità per il difensore (e per il consulente tecnico, il professionista delegato, il curatore e il commissario giudiziale) di estrarre con modalità telematiche duplicati, copie analogiche o informatiche di questi atti e provvedimenti, nonché di attestare la conformità delle copie analogiche e informatiche a norma dello stesso comma, con esenzione dal pagamento di qualsiasi diritto di copia anche autentica.

A norma del Codice dell’Amministrazione Digitale – CAD – di cui al Decreto Legislativo n. 82/2005 (art. 1, co. 1), “duplicato” è il documento informatico ottenuto mediante la medesima sequenza di valori binari del documento originario mentre la “copia informatica” è un documento informatico avente contenuto identico a quello del documento da cui è tratto e con diversa sequenza di valori binari.

In pratica, quando l’avvocato consulta il proprio fascicolo telematico e visualizza un atto caricato dall’Ufficio Giudiziario come, ad esempio, una sentenza, solitamente questa è in formato PDF e non appare la firma digitale del Giudice. Poiché questo documento informatico è diverso dall’originale firmato digitalmente si parla di “copia informatica” (stesso contenuto ma diversa sequenza di valori perché manca la firma digitale).

La novella normativa afferma, quindi, che questa copia informatica equivale all’originale anche se è priva della firma digitale del cancelliere.

Di questa copia informatica gli avvocati hanno la possibilità di fare duplicati (quindi salvarlo tale e quale e utilizzarlo, ad esempio, come allegato alla notifica a mezzo PEC) e in questo caso l’art. 9 bis richiama espressamente l’art. 23 bis, co. 1, del CAD: il duplicato informatico avrà il medesimo valore giuridico, ad ogni effetto di legge, del documento informatico da cui è tratto. L’articolo, tuttavia, prevede che il duplicato informatico dev’essere prodotto in conformità alle regole tecniche di cui all’art. 71 CAD che ancora non sono state emanate e ci si augura che la legge di conversione chiarisca questo aspetto.

Copie informatiche e analogiche andranno attestate come conformi alla copia informatica estratta dal fascicolo informatico a norma dell’art. 16 bis, co. 9 bis, del D.L. 179/2012 come modificato dal D.L. 90/2014.

I facsimile delle attestazioni di conformità per le notifiche a mezzo posta elettronica certificata da parte degli avvocati sono reperibili sul sito della Fondazione Italiana per l’Innovazione Forense del Consiglio Nazionale Forense all’indirizzo: www.pergliavvocati.it.

Gli avvocati, già coinvolti nelle novità del Processo Civile Telematico, sono dotati quindi di ulteriori opportunità connesse anche all’utilizzo della Posta Elettronica Certificata.

Purtroppo, sono da ricordare anche i limiti di questo strumento.

In primo luogo si sottolinea che la Posta Elettronica Certificata è un’invenzione italiana e lo standard della PEC non è riconosciuto a livello internazionale. L’utilizzo di questo strumento, quindi, è circoscritto al territorio italiano o comunque il valore legale della trasmissione è assicurato solo se il destinatario sia munito di indirizzo di Posta Elettronica Certificata, come definito dalla normativa italiana.

E’ bene sottolineare, inoltre, che nel Registro Imprese molti indirizzi PEC sono non funzionanti, risultano errati o comunque inutilizzati dall’impresa proprietaria che, lasciando la propria casella in condizione di non poter ricevere i messaggi PEC, di fatto impedisce il buon fine della comunicazione (se non viene generata la ricevuta di consegna per “indirizzo inesistente/sbagliato” o per “casella piena” la comunicazione o notificazione non è andata a buon fine al pari della raccomandata tornata al mittente per irreperibilità). Ad oggi non è nemmeno previsto un sistema alternativo di notifica telematica nel caso in cui la trasmissione del messaggio alla casella di posta elettronica certificata presente sul registro imprese non vada a buon fine.

Occorre altresì prevedere un’agevole strumento di controllo dello storico degli indirizzi di posta elettronica certificata presenti nei Pubblici Elenchi che possono nel tempo subire modifiche.

A livello tecnico, la compiuta dimostrazione della spedizione e della consegna di un messaggio di Posta Elettronica Certificata non potrebbe prescindere dall’analisi dei Log dei messaggi che sono conservati dal gestore per “soli” 30 mesi.

Non è ancora stato istituito il Registro degli indirizzi PEC del cittadino, connesso evidentemente al noto progetto dell’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente che dovrebbe dare qualche frutto in più del progetto fallimentare della Comunicazione Elettronica Certificata tra Pubblica Amministrazione e Cittadino – CEC-PAC (si veda www.postacertificata.gov.it: quale cittadino avrebbe infatti dovuto munirsi e comunicare un indirizzo PEC al quale ricevere esclusivamente comunicazioni da parte della Pubblica Amministrazione come multe, cartelle esattoriali, etc., senza la possibilità di utilizzarlo, ad esempio, per disdire il proprio contratto di locazione nei confronti del proprietario di casa?).

Infine, i limiti dimensionali connessi alla Posta Elettronica Certificata, in particolare per i depositi degli atti da parte degli avvocati presso gli Uffici Giudiziari (massimo 30 MB),impongono di valutare altre scelte tecniche per la trasmissione e la conservazione dei documenti che rendano il procedimento maggiormente agevole da parte di tutti gli attori coinvolti.

FONTE: Agenda Digitale

AUTORE: Valentina Carollo

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