legge194_Sempre più difficile procedere all’interruzione volontaria di gravidanza in Italia: oltretutto sono troppi i medici obiettori e mancano dati ufficiali sulla copertura medica per chi decide di farne uso. Indebolita negli anni questa possibilità soprattutto per l’endemica carenza di personale anche la funzione dei consultori.

 

“Con un apparentemente innocuo articolo di legge sulla depenalizzazione di reati puniti con la sola pena pecuniaria, si colpiscono le donne nei loro diritti conquistati. Succede oggi che si aumenta fino a 10.000 euro la sanzione per la violazione dell’articolo 19, comma 2, della legge 194, laddove s’interrompe la gravidanza clandestinamente”. Il Governo dovrebbe meditare sulla gravità dell’assenza di una figura istituzionale a garanzia delle pari opportunità”. Così,  in una nota, Donatella Bruno, responsabile del Coordinamento donne della Cgil di Roma e del Lazio.

 

Sul web si sta scatendando una vera e propria guerra contro l’innalzamento delle sanzioni per chi ricorre all’aborto clandestino, che passano da 51 euro a 5/10mila euro. Per portare all’attenzione del presidente del Consiglio Matteo Renzi e del ministro della Salute Beatrice Lorenzin la protesta, è stato lanciato dalle 12 alle 14 e verrà rilanciato dalle 19 alle 21 questo tweet:

 

#ObiettiamoLaSanzione No all’aggravio delle sanzioni per l’aborto clandestino @matteorenzi @bealorenzin.

 

Prima del 1978, l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG), in qualsiasi sua forma, era considerata dal codice penale italiano un reato (art. 545 e segg. cod. pen., abrogati nel 1978).  La legge italiana sulla IVG è la Legge 22 maggio 1978, n.194 (generalmente citata come “la 194”) con la quale sono venuti a cadere i reati previsti dal titolo X del libro II del codice penale con l’abrogazione degli articoli dal 545 al 555, oltre alle norme di cui alle lettere b) ed f) dell’articolo 103 del T.U. delle leggi sanitarie. La 194 consente alla donna, nei casi previsti dalla legge (vedi sotto), di poter ricorrere alla IVG in una struttura pubblica (ospedale o poliambulatorio convenzionato con la Regione di appartenenza), nei primi 90 giorni di gestazione; tra il quarto e quinto mese è possibile ricorrere alla IVG solo per motivi di natura terapeutica.

 

Il prologo della legge (art. 1), recita:

 

 

    Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio.L’interruzione volontaria della gravidanza, di cui alla presente legge, non è mezzo per il controllo delle nascite.Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle proprie funzioni e competenze, promuovono e sviluppano i servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che l’aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite.

 

L’art. 2 tratta dei consultori e della loro funzione in relazione alla materia della legge, indicando il dovere che hanno nei confronti della donna in stato di gravidanza:

 

 

  • informarla sui diritti a lei garantiti dalla legge e sui servizi di cui può usufruire;
  • informarla sui diritti delle gestanti in materia laborale;
  • suggerire agli enti locali soluzioni a maternità che creino problemi;
  • contribuire a far superare le cause che possono portare all’interruzione della gravidanza.

 

 

Nei primi novanta giorni di gravidanza il ricorso alla IVG è permesso alla donna

 

 

che accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito (art. 4).

 

 

La IVG è permessa dalla legge anche dopo i primi novanta giorni di gravidanza (art. 6):

 

 

  • quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna;
  • quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna.

 

 

Le minori e le donne interdette devono ricevere l’autorizzazione del tutore o del giudice tutelare per poter effettuare la IVG. Ma, al fine di tutelare situazioni particolarmente delicate, la legge 194 prevede che (art.12)

 

 

…nei primi novanta giorni, quando vi siano seri motivi che impediscano o sconsiglino la consultazione delle persone esercenti la potestà o la tutela, oppure queste, interpellate, rifiutino il loro assenso o esprimano pareri tra loro difformi, il consultorio o la struttura socio-sanitaria, o il medico di fiducia, espleta i compiti e le procedure di cui all’articolo 5 e rimette entro sette giorni dalla richiesta una relazione, corredata del proprio parere, al giudice tutelare del luogo in cui esso opera. Il giudice tutelare, entro cinque giorni, sentita la donna e tenuto conto della sua volontà, delle ragioni che adduce e della relazione trasmessagli, può autorizzare la donna, con atto non soggetto a reclamo, a decidere la interruzione della gravidanza.

 

Ma entro quali limiti un medico può rifiutarsi di intervenire, invocando la 194? L’articolo 9, comma 3, afferma che “l’obiezione di coscienza esonera il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza, e non dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento”. Quello che invece la legge stabilisce chiaramente è che un medico non può rifiutarsi di assistere una donna che ha complicanze, anche se queste sono state direttamente indotte dalla pratica abortiva.

 

Nel caso in cui la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna o quando vi siano in corso delle malattie (anomalie o malformazioni del nascituro) che mettono in pericolo la salute fisica e psichica della futura madre, il diritto alla vita del nascituro può essere sacrificato anche dopo 90 giorni dal concepimento.

 

In conclusione l’applicazione della legge 194, in Italia, ha ancora sviluppi controversi. Chi ci rimette è sempre, e purtroppo, solo la donna che, il più delle volte si vede strappato via un diritto garantito e riconosciuto a livello legislativo. La mancata attuazione delle norme e disposizioni vigenti arreca un danno all’intero sistema democratico.