Se il teste ha vincoli familiari col ricorrente, ha comunque credibilità in sede giudiziaria? Ecco cosa dice l’ordinamento italiano.
A chi non è mai capitato di guardare una serie tv made in Usa, quelle che si occupano di processi, criminali, giudici ed avvocati. Ad ognuno di noi verranno in mente almeno 6/8 titoli di questo tipo. Chi ha visto queste serie avrà visto che mogli e mariti non possono testimoniare gli uni contro gli altri.
Ma come funziona, invece, il nostro ordinamento, quello Italiano?
Legami col teste e credibilità: ecco cosa dice l’ordinamento italiano
A questo proposito una recente ordinanza della Corte di Cassazione, Sezione II, quella del 23 luglio 2024, n. 20363 ha chiarito come
“in seguito alla declaratoria di incostituzionalità dell’art. 247 c.p.c., il giudice non può escludere la credibilità del teste per il solo fatto che questi sia legato da vincoli familiari al ricorrente. Il vincolo di parentela può essere valutato, unitamente ad altri elementi, al fine di stabilire la credibilità (o meno) del teste e tale valutazione, se adeguatamente motivata, è incensurabile in sede di legittimità.”
Quindi la credibilità di un testimone non può legalmente dipendere da suoi legami con imputato o ricorrente.
La diatriba in merito all’attendibilità dei familiari, viene da lontano. Infatti la norma che vietava al coniuge di testimoniare cioè la C. Cost. sent. n. 248/74 fu cancellata dall’art. 247 cod. proc. civ. nel lontano 1974.
Un altro importante pronunciamento che aveva fatto notizia su questo tema è rappresentato dalla sentenza n. 14706/16 del 19.07.16 che anch’essa interviene su legami di parentela e attendibilità del teste ed aveva concluso che la testimonianza del fratello, della sorella, del marito o della moglie di uno dei soggetti in causa potesse essere ritenuta completamente attendibile.
In aggiunta vi è una specifica che interviene affermando che, anche quando il testimone è uno soltanto, la sua dichiarazione può essere valida. Diversamente il codice vieta la testimonianza ai soggetti che presentino un interesse personale nella causa e che potrebbero subire conseguenze nell’ipotesi in cui la sentenza abbia un particolare esito. Questo non significa, però, che al marito o alla moglie in comunione dei beni sia sempre vietato testimoniare a favore l’uno dell’altro.
Nonostante il regime patrimoniale prescelto, è necessario, per essere ritenuto ‘non disinteressato’ quindi ‘non attendibile’ un interesse più diretto all’esito della causa, che tocchi direttamente la persona e con essa il suo patrimonio personale, non quello derivante dalla comunione matrimoniale.
Fonte: articolo di Rossella Angius