Siamo penultimi in Europa secondo l’e-leadership Scoreboard, e non a caso ultimi secondo il DESI per la percentuale di imprese che vende online. A fronte di poche note positive, tra cui la policy sulle competenze digitali, il quadro complessivo rimane grave e necessita del riconoscimento della centralità del tema delle competenze.
La pubblicazione del rapporto sull’Italia dell’e-Leadership Scoreboard, realizzato dal Consorzio LEAD (guidato dalla società Empirica) nell’ambito dell’iniziativa della Commissione Europea “e-Leadership Skills for Small and Medium Sized Enterprises” è una buona occasione per fare il quadro dello stato delle competenze digitali di manager e imprenditori nelle piccole e medie imprese.
E poiché consideriamo la presenza di competenze adeguate come una delle condizioni principali per lo sviluppo delle imprese e per l’acquisizione di un ruolo importante nei mercati, ecco che il rapporto ci fornisce elementi importanti di correlazione con un altro indicatore cardine per la misurazione della salute delle nostre imprese (soprattutto PMI), e cioè quello che misura la loro capacità attuale di utilizzare la rete per una diffusione nazionale e internazionale, prima di tutto attraverso le vendite online. Indicatore che, secondo il DESI (Digital Economy and Society Index, per la valutazione dei progressi sull’Agenda Digitale, da parte della Commissione Europea), ci pone all’ultimo posto in Europa con il 5,1% di imprese che vendono online per oltre l’1% del proprio fatturato (la media europea è del 14,5%).
Interrogarsi quindi sul livello di competenze digitali, di e-leadership, dei manager e degli imprenditori è utile per capire se il “malato” sia già su un percorso di ripresa o ha bisogno di forti sostegni e scosse per intraprenderlo.
La posizione complessiva dell’Italia purtroppo è di retroguardia, e tra l’altro in peggioramento, se nel rapporto intermedio di marzo 2015 figurava prima nel gruppo di coda dei “Late Beginners” e quindi con davanti 22 dei 28 Paesi europei, dalla Lettonia in su, fino al gruppo dei Paesi leader (nell’ordine: Irlanda, Regno Unito, Finlandia, Paesi Bassi, Svezia, Danimarca), mentre nel rapporto per paese pubblicato a maggio si posiziona al penultimo posto, davanti soltanto alla Romania.
Il modello della e-leadership Scoreboard
Il modello della Scoreboard comprende quattro dimensioni, articolate in 7 “building block” e 24 indicatori, che sono poi aggregati nell’indice di e -Leadership globale:
- la dimensione “e-leadership skilling” è costituita da un building block, “Istruzione e formazione”, con quattro indicatori: il numero di programmi formativi a livello di Master, il numero di programmi indirizzati all’ e-leadership, la quota di imprese che fornisce formazione per gli specialisti ICT e la qualità delle scuole di management;
- nella seconda dimensione, “potenziale di e-leadership della forza lavoro”, sono individuati due blocchi (professionisti e-Leader e percorso per l’e-Leadership) e si cerca di valutare l’adeguatezza della presenza di lavoratori con competenze digitali, ICT e e-leadership, ma focalizzandosi in particolar modo sugli specialisti ICT, cercando così di stimare i potenziali e- leader in ogni paese;
- una terza dimensione è ” lo sfruttamento competenze di e – leadership”, cercando di valutare quanto il contesto di un Paese favorisca il pieno sfruttamento delle opportunità offerte dall’ICT. Si articola in tre blocchi che si focalizzano sul contesto di business, sulle opportunità di innovazione e sui trend tecnologici in atto nel paese in esame;
- la quarta dimensione, ” promotori delle competenze di e- leadership” valuta le policy dei paesi , nella convinzione che i paesi con meccanismi di abilitazione efficienti (politiche iniziative , ecc ) sono ben posizionati per produrre il giusto mix di competenze di e-leadership , in linea con la dinamiche della domanda del mercato del lavoro e il requisito del talento e delle competenze.
Il modello è articolato e interessante, include valutazioni specifiche di Empirica nell’ambito dell’e-leadership, e si avvale di misure di provenienza Eurostat e World Economic Forum (soprattutto per le rilevazioni su valutazioni qualitative), discretamente aggiornate (la meno recente è del 2011): una ottima base di riflessione su questo nuovo ambito delle condizioni di crescita delle imprese. Un aspetto opinabile è la considerazione di una correlazione molto stretta (troppo, a mio avviso) tra l’e-leadership e le professionalità ICT. L’e-leader ha certamente delle forti competenze digitali per comprendere appieno come sfruttare le potenzialità dell’ICT per le attività di impresa (per nuovi prodotti/servizi, nuovi processi, nuovi mercati), ma non ha nessuna necessità di essere uno specialista ICT. Certamente ha bisogno di avvalersene, e la quantità di specialisti ICT presenti nel mercato del lavoro e valorizzati adeguatamente è certamente una misura della capacità delle imprese di cogliere l’opportunità digitale. Ma non è un’indicazione diretta della potenzialità di sviluppare competenze di e-leadership. Non a caso, proprio nelle Linee Guida citate positivamente nel rapporto questo aspetto è esplicitato molto chiaramente.
Gli elementi valutati positivamente
Il principale segnale positivo per l’Italia è dato dalla valutazione di 4 punti (su 5) attribuiti alla policy nazionale sul fronte della formazione, raddoppiando la valutazione dell’anno precedente, grazie alla citazione esplicita del tema dell’e-leadership sia nel documento di Strategia Digitale del 2014 sia nelle Linee Guida – Indicazioni Strategiche e Operative, realizzate nell’ambito del Programma Nazionale Competenze Digitali (purtroppo, nella versione corrente della Strategia per la Crescita Digitale la citazione non c’è più, anche se comunque nelle pagine del sito web Agid dedicate alle competenze digitali e nelle iniziative della Coalizione Nazionale la e-leadership ha mantenuto l’enfasi iniziale).
Anche in alcune Agende Digitali regionali (il rapporto cita Umbria, Toscana, Lombardia, Veneto) il rapporto riscontra una trattazione adeguata delle necessità di sviluppo della e-leadership e delle linee di intervento da praticare, così come rileva significative e positive iniziative sul fronte universitario e delle scuole di management.
Altra valutazione positiva (superiore alla media europea) è sullo stato di definizione e sviluppo dei cluster (distretti), basata su una rilevazione del 2013 a cura del World Economic Forum, oltre che della percentuale di lavoratori in settori “ICT intensive”.
Gli elementi valutati negativamente
Naturalmente gli elementi negativi prevalgono, e riguardano tutte e quattro le dimensioni di valutazione.
Innanzitutto è negativa la valutazione sulle azioni in atto (“Skills for digital entrepreneurship”), che sono valutate poche e per la maggior parte provenienti da incubatori e acceleratori focalizzati sul dominio digitale.
Le altre valutazioni particolarmente negative sono su tutte le dimensioni:
- sulla dimensione formativa (e-leadership skilling– solo il 4% delle imprese fornisce formazione a specialisti ICT, meno della metà della media UE),
- sulla dimensione della popolazione lavorativa (e-leadership workforce potential– in Italia c’è ad esempio solo lo 0, 7% di professionisti ICT, metà della media UE, e siamo ultimi per tasso di laureati in ICT e in business administration),
- sulla dimensione dell’innovazione delle imprese legata alle competenze di e-leadership (e-leadership skills exploitation– ad esempio solo il 14% delle imprese impiega specialisti ICT contro il 24% della media UE, e siamo valutati terzultimi per la capacità di “assorbimento tecnologico” delle imprese).
La valutazione che se ne ricava è che soltanto affrontando il problema in tutte le sue dimensioni (dalle policy ai piani operativi, dai sistemi educativi al mondo del lavoro, dal contesto normativo-economico alla spinta all’innovazione delle imprese) l’Italia possa intraprendere un percorso virtuoso di rapido recupero. La carenza di competenze di e-leadership rappresenta, in questo quadro, una conseguenza della mancata centralità del tema delle competenze nelle politiche di sviluppo del Paese, ma anche lo specchio di un mondo imprenditoriale che stenta ad affrontare, se non in alcune sue parti ancora minoritarie, la sfida di un mondo che sta radicalmente cambiando, nelle dinamiche di mercato ma anche nelle modalità di relazione con gli utenti-prosumer.
E la mancanza di una politica industriale che correli esplicitamente strategie sulle competenze con strategie per lo sviluppo è certamente uno dei problemi principali da risolvere.