Prelievo sulle pensioni, riforma del lavoro, blocco degli stipendi statali, riforma del fisco, sindacati in agitazione, esodati, scadenze fiscali, crisi economica, recessione, crescita (che non c’è) sono solo alcuni degli elementi che già preannunciano un autunno arroventato.
Non compenserà la mite estate che abbiamo vissuto quest’anno, e comunque ne vorremmo fare a meno. Il dibattito politico che si è sviluppato anche nella pausa ferragostiana su tali argomenti, ci ha tenuto sulla corda anche con il ritorno del tormentone dell’abolizione dell’art 18 Stat.Lav. Quest’ultimo, non è certo un argomento discutibile in una pausa estiva, tant’è che il dibattito sull’argomento si protrae da anni, con opposte soluzioni. Tema estremamente delicato, tanto a trattarlo con ipotesi favorevoli, quanto a riflettere sulle tesi contrarie.
Se le aziende “interessate” dall’articolo 18 sono solo il 2,4 per cento del totale, a essere tutelati da questo provvedimento sono il 57,6 per cento dei lavoratori dipendenti italiani occupati nel settore privato dell’industria e dei servizi (stime elaborate dall’Ufficio studi della CGIA , pubblicate anche sul nostro sito www.anclsu.com). In termini assoluti –afferma la stima – su poco meno di 4.426.000 imprese presenti in Italia, solo 105.500 circa hanno più di 15 addetti.
Per quanto riguarda i lavoratori dipendenti, invece, su oltre 11 milioni di operai e impiegati presenti nel nostro Paese, quasi 6.507.000 lavorano alle dipendenze di aziende con più di 15 dipendenti: soglia oltre la quale si applica l’articolo 18.
Numeri che rispecchiano la delicatezza della questione. L’impressione è che la verità possa stare nel mezzo, così come già da tempo hanno regolamentato in altri Paesi. La ricetta sta nell’attenuare sensibilmente le tutele reintegratorie vigenti, con un indennizzo dovuto al lavoratore ingiustificatamente licenziato. Ma in ogni caso, si va ad incidere su una norma sensibile del diritto che tutela il lavoratore in ogni caso di licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo.
La domanda che va posta, credo sia un’altra: l’impervia abolizione dell’art. 18 davvero costituirebbe quello schok necessario al rilancio della nostra economia? Ho dei dubbi, credo fortemente invece che la strada è un’altra, come l’Ancl va dichiarando da tempo e che ormai è invocata da un coro unanime di forze sociali: l’abbattimento di tasse e contributi, sulle imprese e sul lavoro. Senza se e senza ma.
L’operazione “80 Euro” è stata sicuramente apprezzabile, ma non è affatto risolutiva e rischia di rimanere un’operazione di facciata, molti credono che sia stata puramente elettorale. Mentre crolla l’economia e l’occupazione, ci si dovrebbe interrogare non solo sulle regole del mercato del lavoro, ma soprattutto come rilanciare consumi, produttività, risparmio, e redditività. Lo si può fare soltanto abbandonando l’asfissia dei costi fiscali e contributivi che dalle nostre parti ha raggiunto livelli record ed ormai insostenibili. Chi vuol fare impresa oggi è più scoraggiato che mai, e se non si fa impresa, non si fa lavoro.
Ed anche per quei imprenditori coraggiosi che fanno impresa, il lavoro non può essere un bene di lusso, ed il lavoratore dovrebbe essere in grado di metterci il maggiore entusiasmo connesso al miglioramento della sua redditività. Abbiamo sentito parlare sino alla nausea di rapporti a termine ed apprendistato, senza che ci siano state – per l’ennesima volta –quelle inversioni di rotta preannunciate. Si operi quindi nella complessiva, seria, incisiva, avvertibile detassazione, una volta per tutte. Gli effetti sull’economia e sul lavoro saranno immediatamente visibili, senza ombra di dubbio.
A proposito dell’apprendistato e dei contratti a termine, e giusto per rinfrescare la memoria un po’ assopita dalla pausa estiva: staremo a vedere presto gli effetti numerici che dovrebbero produrre le recenti disposizioni sull’apprendistato e dei quali non intravedo alcuna previsione positiva, vista anche la concorrenza a tale tipologia di contratto che realizzerà lo stesso rapporto a termine acausale introdotto dallo stesso decreto. E a proposito del rapporto a termine acausale – per quanto sia obiettivamente uno strumento agevole per le imprese – i dubbi di conformità al diritto europeo crescono in maniera esponenziale.
E l’Ancl, lo aveva detto da subito. Il rischio è, che con una pronuncia sfavorevole degli organi europei preposti, possano essere dichiarati illegittimi i contratti acausali già stipulati. Ci mancherebbe anche questa.
FONTE: ANCLSU – Associazione Nazionale Consulenti del Lavoro, Sindacato Unitario
AUTORE: Francesco Longobardi