Succede a volte nella vita, di convincerci di qualcosa, che vogliamo perseguire e che non trova condivisione in nessuno che conosciamo.

Ci viene da difendere una  posizione che non avrebbe mai difeso neanche chi si trova in quella posizioneperché per opportunismo conviene sfilarsi per evitare di avere i fari costantemente  puntati.

Ma sono scelte che si fanno, per poi scontarle per tutta la vita. Quelle scelte, che  sappiamo già che ce ne potremmo pentire, ma che se non si fanno, ce ne  pentiremmo sicuramente.

Forse è solo una questione di esercizio, una questione di allenamento, una questione  di conoscenza, per cui si sceglie la strada che conosciamo, sconosciuta agli altri e pertanto sappiamo che la si deve percorre da soli.

Credo che un uomo vada giudicato per le sue scelte e di come le gestisce, in base  alla sua esperienza, che contempla anche la diretta irresponsabilità delle scelte  sbagliate.

Quelle scelte che individuano la persona più delle sue impronte digitali, perché quello che pensi e quello che fai è quello che sei e diventerai.

Come dipingere  un quadro dove magari non puoi scegliere la tela del tuo destino, che hai a  disposizione e su cui dovrai dipingere, ma sicuramente puoi scegliere quello che vorrai raffigurare.

Ci saranno sempre molti che non comprenderanno il nostro quadro, ma si sceglie di dipingere non per essere compresi. Già la scelta del soggetto, mostra il nostro vero carattere più della nostra capacità.

Quella scelta, che anche fronte alla visione idilliaca del Paradiso, non vorremmo  essere privati del diritto di poter scegliere eventualmente l’inferno, solo per il fatto  di avere quella libertà di scelta, per cui anche la scelta sbagliata sembra sempre la  più ragionevole, perché ci fa scegliere come vivere, selezionando il nostro giusto al  facile, senza rimpianti e a distanza di tempo, capire che non abbiamo fatto bene, ma benissimo.

In genere ci viene raccontato che nella vita abbiamo due scelte da fare, scalare le  cime per diventare qualcuno o accontentarsi di essere uno dei nessuno. Io credo che esista la terza scelta, ossia diventare la persona che si vuole essere.

Questo comporta difendere la propria scelta e il proprio modo di essere. Io ho scelto  di essere me includendo in questo il mio ecosistema, che voglio preservare allo stesso modo di quanto preservo me stesso.

Quell’ecosistema estremamente  complicato e vilipeso, che trova a difesa solo frasi di circostanza, senza che nessuno  ci metta mai le mani in pasta, perché a volte le misure di difesa di questo sistema  paranoico, diventano i propri agenti di autodistruzione. Dove si esercita un grande sopruso per difendere il sopruso e senza che nessuno voglia sporcarsi le mani.

Quando un popolo non vuole difendere la propria cultura e il proprio ambiente, può  solo essere schiavo di qualcuno.

La considerazione fatta e che determina la scelta, è che più la cosa è importante,  meno importa il numero dei difensori, che non ce ne saranno mai abbastanza. Per  difendere un’idea ne basta solo uno. Anche se non è facile difendere posizioni che  possono diventare ambigue agli occhi dei superficiali, con i loro concetti stereotipati  e con l’essere prevenuti, in quando non disposti e predisposti a capire.

Contro la stupidità non si hanno grandi difese e non è facile difendere quello che per  tanti è diventato un trofeo da contendere e mentre la stessa terra ti aggredisce. Una terra che va tutelata contro gli aggressori, ma anche contro chi dovrebbe difenderla,  sfidando tutto e tutti, rimanendo la più piccola minoranza possibile, restando  all’opposizione di maggioranza e opposizione.

Arrendersi, è la cosa più semplice del mondo. Ma resistere quando tutti gli altri  aspettano di vederci cadere a pezzi, questa è la vera figata, vivendo in piedi anche  nei momenti peggiori, perché a volte la vita diventa un lavoro difficile, che ci fa fare sempre la stessa domanda. Ma ne vale la pena?

Quindi bisogna creare, resistere e creare, insistere e creare, persistere e creare. Mai  desistere. E anche se nessuno ci fa la domanda, la sentiamo ugualmente: fino a che punto puoi resistere?

Ma la scuola di guerra della vita, ha insegnato che ciò che non uccide, fortifica. E  mentre anch’io mi interrogo sulla mia resistenza, cercando di trovare la forza per fare un altro passo, mentre lo penso, sto già camminando.

Ogni lettura è un atto di resistenza, ogni riflessione approfondita è un atto di  resistenza, che alimenta la convinzione che il momento è arrivato. L’unico modo di resistere è ostinarsi a pensare con la propria testa e soprattutto a sentire col proprio  cuore, essendo pronti a resistere con ogni mezzo, anche a costo della vita, in modo  che ciò possa costituire una lezione nella storia ignominiosa di coloro che hanno la forza ma non la ragione e che tentano la costante sopraffazione.

Quando l’ingiustizia diventa legge, la resistenza diventa dovere, perché il desiderio  di resistere all’oppressione è radicato nella natura umana. L’autodifesa è la più  antica legge della natura e la libertà va difesa anche a costo di violare la legge.

Tutto questo spinge a quella solitudine che non sappiamo se considerare condanna  o conquista, quella solitudine che ci fa ritrovare o ci fa perdere. I soli sono sempre  individui strani, fuori dagli schemi. Non si sa bene cosa sono, forse ribelli forse  disertori nella follia di oggi, quella condizione di chi ha il difetto di essere dotato di  buon senso.

La solitudine si cerca unicamente per evitare le persone e le loro leggi, i loro  insegnamenti, i loro modi, le loro idee, il loro chiasso e i loro lamenti. La solitudine significa pensieri seri, densi di contenuto, significa contemplazione, calma e saggezza, quel sublime stato in cui è possibile raccogliere le proprie idee, meditare,  riflettere, creare e, in ultima analisi, dare senso e sostanza alla comunicazione.

Si cerca la solitudine per non vedere i volti di uomini che si vendono e comprano a  prezzi da saldo. Se la solitudine a volte può pesare, certe compagnie ci uccidono.

Quelle compagnie che nascono dalla nuova istruzione scolastica, diventata la difesa  organizzata del potere contro le nuove generazioni, dove inculcano la non-violenza, trasformando il senso del vocabolo con la non-resistenza, perché la resistenza è stata stravolta nel concetto ed è diventata sinonimo di violenza e richiede sacrifici,  che spiega perché la maggior parte delle persone scelga la costrizione, anche in una società che ha una misura in meno di scarpe.

 


Fonte: articolo di Roberto Recordare