Mentre si stava per licenziare questa ultima riflessione sui temi di maggiore delicatezza rispetto alla tenuta costituzionale della legge Calderoli è arrivato il comunicato stampa della Corte, che ha anticipato alcuni punti chiave della sentenza.


In esso si rinvengono le questioni del conferimento delle materie, del ruolo del Parlamento e dei Lep, che ho affrontato in precedenti articoli.

In attesa di approfondire il dispositivo dei giudici della Consulta, soprattutto in quelle parti dove è stata annunciata un’attività di interpretazione costituzionalmente orientata per alcune previsioni della legge, ritengo comunque utile concludere queste riflessioni esaminando anche quanto previsto per finanziare il trasferimento delle funzioni alle Regioni richiedenti, di modo che non appena pubblicata la sentenza potremo verificare come i giudici lo avranno affrontato.

La spada di Damocle dell’invarianza finanziaria

Rimanendo alla lettera della legge n. 86/2024 alcuni paletti sono posti, ma tutti gli impegni indicati risultano privi di misure fiscali effettive o di copertura finanziaria, rinviando solamente a provvedimenti ipotetici e futuri; infatti, nessun fondo perequativo viene istituito o quantomeno prospettato prima di un’ipotetica attuazione nel 2027, avviata la quale rimarrà comunque in uso il criterio della spesa storica per i successivi 4 anni! Quindi con tutte le diseguaglianze nella distribuzione delle risorse più volte denunciate in precedenti articoli e con, nel frattempo, la possibilità che si sia in ogni caso proceduto nella stipula di Intese con alcune Regioni, producendo così un ulteriore diminuzione dei fondi a disposizione dello Stato.

Queste problematiche, e in particolare il rischio che da tale processo possano derivare maggiori oneri per il bilancio dello Stato, sono state sollevate durante le audizioni che hanno accompagnato l’iter del Disegno di legge, da istituzioni indipendenti (Corte dei conti, Banca d’Italia, Ufficio parlamentare di bilancio); ma la quasi totalità sono rimaste inascoltate.

Il vincolo della invarianza finanziaria è un chiaro ostacolo a qualsiasi possibilità di recupero delle diseguaglianze già esistenti e conferma di un impianto che poggia le basi sul mantenimento dell’attuale spesa storica.

A determinare i LEP saranno le risorse di Bilancio statali?

Stando così le cose, è facilmente prevedibile che alla fine saranno le risorse disponibili nel Bilancio dello Stato a determinare i LEP e non la necessità di finanziare questi a orientare la spesa statale a favore dei territori o degli ambiti più svantaggiati.

In questo senso anche alcune pronunce della Consulta (ex multis, sentt. nn. 275/2016 e 35/2023) hanno affermato che «una volta normativamente identificato, il nucleo invalicabile di garanzie minime» per rendere effettivi i diritti incomprimibili dell’individuo «non può essere finanziariamente condizionato in termini assoluti e generali», in quanto «È la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione».

Le coperture finanziarie debbono essere chiaramente quantificate

Si profila in questo modo una palese violazione dell’art. 117 Cost. lett. m, dove i LEP sono elevati a diritti sociali meritevoli di essere soddisfatti ora e senza esitazioni, mentre l’incertezza presente nella legge Calderoli sembra declassarli quasi a mere aspettative, limitandosi a prometterli senza individuare gli strumenti necessari a finanziarli.

Citando anche sua consolidata giurisprudenza, più volte il Giudice delle leggi ha «precisato che la clausola di invarianza finanziaria non può tradursi in una mera clausola di stile e che, “[o]ve la nuova spesa si ritenga sostenibile senza ricorrere alla individuazione di ulteriori risorse, per effetto di una più efficiente e sinergica utilizzazione delle somme allocate nella stessa partita di bilancio per promiscue finalità, la pretesa autosufficienza non può comunque essere affermata apoditticamente, ma va corredata da adeguata dimostrazione economica e contabile” (sentenza n. 115 del 2012), consistente nell’esatta quantificazione delle risorse disponibili e della loro eventuale eccedenza utilizzabile per la nuova o maggiore spesa, i cui oneri devono essere specificamente quantificati per dimostrare l’attendibilità della copertura» (così la sent. n. 82/2023).

Una parcellizzazione pericolosa

Affidare l’individuazione delle risorse alle singole intese Stato-Regione crea una parcellizzazione molto rischiosa poiché lo Stato, privato di una gestione unitaria, perderebbe quella visione organica necessaria a un’ottimizzazione delle risorse disponibili, nonché a mantenere un ruolo di garanzia e controllo nella definizione dei fabbisogni standard e nel monitoraggio dei LEP. A maggior ragione se gran parte di questi delicatissimi passaggi vengono affidati a singole Commissioni, diverse per ogni Intesa, che tratteranno materie diverse, in tempi diversi, con accordi legati a verifiche e scadenze diverse.

Questa eventualità andrebbe assolutamente evitata, poiché produrrebbe differenze sostanziali tra le stesse Regioni che avessero concessa l’autonomia, ma soprattutto perché potrebbe creare un ulteriore diseguaglianza tra territori, considerato che nello stesso tempo lo Stato dovrà continuare a garantire i medesimi livelli essenziali anche per le Regioni che non abbiano chiesto la differenziazione, ma venendo meno la precedente economia di scala data da una gestione unica e contemporanea.

Alla luce di ciò risulta ancora più pericolosa la previsione di finanziare le funzioni attribuite attraverso compartecipazioni al gettito di uno o più tributi erariali maturato nel territorio regionale. Tale meccanismo risulta chiaramente penalizzante per le Regioni con minore capacità fiscale per abitante e capestro per le finanze statali. Per le prime sarebbe persino (e paradossalmente) complicato chiedere quanto la legge vorrebbe concedere. Per lo Stato perché a causa delle minori entrate sarà sensibilmente ridotta la possibilità di assolvere alla funzione perequativa, nonché di continuare a garantire i medesimi livelli essenziali anche per le Regioni che non abbiano chiesto la differenziazione.

Con un siffatto procedimento si arriverebbe a instaurare un meccanismo simile a quanto previsto per le Regioni a Statuto speciale, i cui statuti però, è bene ricordarlo, sono approvati con legge costituzionale. E la differenza non sembra essere di poco conto.