Interdittiva Antimafia: il Consiglio di Stato, sez. III, con la Sentenza del 05.02.2016 n. 463, si è pronunciato in merito al giudizio di attualità e di concretezza del pericolo di infiltrazione mafiosa. Con la sentenza impugnata il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio respingeva il ricorso proposto dalla Piccolo Costruzioni s.r.l. avverso l’informativa interdittiva antimafia adottata, a suo carico, dalla Prefettura di Roma in data 10 marzo 2014 e il conseguente provvedimento (in data 27 marzo 2014) con cui Autostrade per l’Italia S.p.A. aveva revocato l’aggiudicazione in suo favore dell’appalto avente ad oggetto i lavori di ampliamento dell’area di servizio Lucignano Est.
Avverso la predetta decisione proponeva appello la Piccolo Costruzioni s.r.l., contestando la correttezza della statuizione reiettiva gravata e domandandone la riforma, con conseguente annullamento dei provvedimenti impugnati in primo grado. Resisteva il Ministero dell’interno, che contestava la fondatezza dell’appello, domandandone la reiezione, con conseguente conferma della sentenza impugnata. Con ordinanza in data 8 ottobre 2015 veniva sospesa l’esecutività della decisione appellata.
La società appellante critica il convincimento espresso dai giudici di prima istanza, assumendo, in particolare, che la contestata valutazione prefettizia risulta smentita dalle contrarie e più recenti risultanze probatorie (di seguito meglio indicate), idonee ad attestare l’estraneità dell’impresa a qualsivoglia rischio di permeabilità all’influenza di associazioni di stampo mafioso.
L’assunto che sorregge l’impugnazione può essere sintetizzato nel rilievo, svolto anche per mezzo della proposizione di motivi aggiunti ai sensi dell’art.104, comma 3, c.p.a., che l’interdittiva controversa è stata assunta sulla (sola) base di indici di pericolo di infiltrazione mafiosa risalenti nel tempo, errati, equivoci, non concludenti e, soprattutto, del tutto inidonei ad attestare, con la necessaria capacità probatoria, la concretezza e l’attualità del tentativo di ingerenza della criminalità organizzata nell’amministrazione dell’impresa, soprattutto a fronte della contraria (e più recente, rispetto alle circostanze assunte a fondamento della contestata interdittiva) documentazione, ritualmente prodotta solo in appello (in quanto acquisita dall’appellante solo dopo la pubblicazione della decisione impugnata), con la quale la D.I.A., unitamente a diversi organi di polizia, ha escluso la sussistenza, a carico della Piccolo Costruzioni s.r.l., di risultanze investigative idonee a dimostrare la sua esposizione al rischio di influenze mafiose.
Se è vero che la misura dell’interdittiva antimafia obbedisce a una logica di anticipazione della soglia di difesa sociale e non postula, come tale, l’accertamento in sede penale di uno o più reati che attestino il collegamento o la contiguità dell’impresa con associazioni di tipo mafioso (Cons. St., sez. III, 15 settembre 2014, n.4693), potendo, perciò, restare legittimata anche dal solo rilievo di elementi sintomatici che dimostrino il concreto pericolo (anche se non la certezza) di infiltrazioni della criminalità organizzata nell’attività imprenditoriale (Cons. St., sez. III, 1 settembre 2014, n.4441), è anche vero che l’apprezzamento degli indici significativi del predetto rischio deve necessariamente fondare una valutazione di attualità del tentativo di condizionamento della gestione dell’impresa da parte di associazioni mafiose (Cons. St., sez. III, 7 ottobre 2015, n.4657).
E’ stato, al riguardo, chiarito che l’interdittiva antimafia può legittimamente fondarsi su fatti e circostanze risalenti nel tempo, oltre che su indici più recenti, purché, tuttavia, dall’analisi del complesso delle vicende esaminate emerga un quadro indiziario idoneo a giustificare il necessario giudizio di attualità e di concretezza del pericolo di infiltrazione mafiosa nell’amministrazione dell’attività d’impresa (Cons. St., sez. III, 13 marzo 2015, n.1345).
A fronte, quindi, di risultanze istruttorie (peraltro particolarmente qualificate) attestanti (nel 2011) l’insussistenza di evidenze investigative attestanti il tentativo o, comunque, il rischio di condizionamento mafioso dell’impresa, l’Amministrazione, lungi dal tenerne conto (come, invece, avrebbe dovuto) nel giudizio complessivo ad essa affidato dagli artt. 90 e ss. d.lgs. n. 159 del 2011, ne ha del tutto pretermesso l’esame, ignorandone la stessa esistenza (nella motivazione dell’atto) e fondando, invece, la sua valutazione sull’apprezzamento di circostanze (peraltro scarsamente significative, come sopra rilevato) più risalenti nel tempo e, come tali, del tutto inidonee ad attestare (soprattutto se contraddette da più recenti e affidabili risultanze contrarie) l’attualità dell’esposizione dell’impresa al pericolo concreto di ingerenze mafiose.
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