Ecco un approfondimento dell’Avv. Roberto Onorati sull’indagine basata sull’Indice della libertà economica delle città italiane. 


Classifica delle città italiane per indice di libertà economica, elaborata dall’Istituto Bruno Leoni, in collaborazione con Confcommercio Genova.

La ricerca ha indagato 107 tra capoluoghi di provincia e città metropolitane. Le città più economicamente libere sono Bolzano, Vicenza e Cuneo, mentre quelle col punteggio più basso risultano Napoli, Catania e Isernia.

L’Indice della libertà economica si basa su quattro grandi aree: la macchina comunale (spesa, debito, occupazione), la vitalità economica (Pil pro capite, numero di imprese e lavoro), la tassazione e la performance della giustizia civile. L’idea di fondo è che anche a livello locale gli amministratori possono incidere sull’attrattività di un territorio, contribuendo a renderlo più dinamico e favorevole allo sviluppo.

La libertà economica è un fattore fondamentale nello sviluppo dei paesi e dei territori. Da tempo gli economisti si sono interessati a individuare le caratteristiche della libertà economica, a misurarne l’estensione e a valutarne gli effetti. Un paese è economicamente libero se non impone eccessivi vincoli alla libertà di intrapresa: cioè se, da un lato, l’intervento pubblico è limitato e, dall’altro, i servizi pubblici sono garantiti ed efficienti. La libertà economica, quindi, implica moderazione fiscale, disciplina nei bilanci pubblici, una regolamentazione chiara e non invasiva, ma anche una buona amministrazione e servizi di qualità e gestiti in modo efficiente. Essa presuppone inoltre un forte grado di sussidiarietà, nel senso che lo Stato e gli altri livelli di governo non dovrebbero sostituirsi al privato, dove questo è in grado di erogare i servizi necessari.

A livello internazionale, l’indice “Economic Freedom of the World”, che misura la libertà economica in 165 paesi, definisce la libertà economica sulla base di una serie di indicatori, che hanno l’ambizione di catturare quanto, nelle diverse giurisdizioni, sono garantiti “la libertà di scelta, gli scambi volontari, l’apertura dei mercati e i diritti di proprietà”.

In generale, la libertà economica è massima dove l’intervento pubblico è più limitato e meno discrezionale. Quindi essa è associata con una politica monetaria che protegga dagli shock inflazionistici, con una forte garanzia dei diritti di proprietà, con la presenza di pochi vincoli alla libertà di intrapresa e con uno Stato che impone un livello moderato di prelievo fiscale e garantisce l’efficienza dei servizi pubblici (il più importante dei quali è la giustizia e la sicurezza). Tale indice è stato pubblicato, per la prima volta, nel 1996. Da allora è stato aggiornato anno dopo anno, ricostruendo a posteriori la serie storica fino al 1970.

Ben presto, tuttavia, ci si è resi conto che la libertà economica è un fenomeno troppo complesso per essere sintetizzato all’interno di un singolo indice, con la pretesa di catturarne tutte le dimensioni all’interno di un paese. Questo è particolarmente vero nei paesi più popolosi e diversificati al proprio interno, che manifestano una considerevole variabilità interna. Sono nati così vari tentativi di riprodurre indici di libertà economica a livello sub-nazionale.

L’Istituto Bruno Leoni, col supporto di Confcommercio Genova, ha predisposto un indice della libertà economica delle città italiane. L’indice ha preso le mosse dall’esame dei lavori analoghi – non solo finalizzati a misurare la libertà economica in sé ma anche altri fattori in qualche modo assimilabili, quali la facilità di fare affari (“Ease of Doing Business”) pubblicato dalla Banca mondiale dal 2004 al 2020. Successivamente, sulla base dei dati pubblicamente disponibili, si è redatto un indice che ordina le 112 città capoluogo di provincia o città metropolitane secondo lo spazio che la regolamentazione locale lascia alla libertà di impresa lasciata a chi, concretamente, anima ogni giorno la vita economica.

L’indice si compone di quattro aree: macchina municipale, vitalità economica, tassazione e giustizia.

L’area macchina municipale comprende quattro indicatori: rapporto tra debito comunale e PIL, rapporto tra spesa pubblica comunale e PIL, numero di dipendenti comunali ogni 1.000 abitanti e rapporto tra valore degli accertamenti (multe) e PIL. La seconda area dell’indice, vitalità economica, comprende tre indicatori: PIL pro-capite, imprese pro-capite e rapporto tra addetti e residenti. La terza area riguarda la tassazione ed è composta da tre indicatori: addizionale comunale massima, addizionale regionale massima e rapporto tra gettito IMU e PIL. Infine, l’area della giustizia include il disposition time dei tribunali, che dà indicazioni sul tempo massimo di definizione di un procedimento e il rapporto tra riscossioni e accertamenti.

Sono stati utilizzati come fonti dati pubblici forniti dal Ministero delle Finanze, dall’ISTAT e dalla banca dati del Sistema degli indicatori sociali regionali e provinciali. I dati sull’indebitamento, come anche quelli relativi alle entrate, le spese e le multe, provengono dal portale OpenBDAP della Ragioneria Generale dello Stato. I dati sul numero dei dipendenti comunali sono stati ripresi dal Conto Annuale delle amministrazioni pubbliche, anch’esso pubblicato dalla Ragioneria Generale dello Stato. I dati sulle varie aliquote delle addizionali comunali e regionali IRPEF provengono invece dal sito del Dipartimento delle Finanze. I dati sulla popolazione di ogni comune sono stati presi dalla banca dati dell’ISTAT. I dati sul PIL pro-capite provengono dal Sistema degli indicatori sociali regionali e provinciali e corrispondono ai valori provinciali. I dati sul disposition time dei tribunali sono forniti dal Ministero della Giustizia.

Le città che aprono la classifica sono Bolzano, Vicenza, e Cuneo, con un punteggio rispettivamente di 100, 99 e 98. Si tratta di città che riescono a coniugare un’economia vivace (come emerge per esempio dall’elevato numero di imprese pro capite (addirittura 0,84 a Cuneo, quasi una per abitante) o dalla capacità di attrarre lavoratori anche dall’esterno dei propri confini. Il buon andamento dell’economia è anche associato a una gestione rigorosa del bilancio pubblico (con un indebitamento che, a Bolzano, è appena dell’1 per cento del Pil su base pro capite) e conseguentemente un basso livello di pressione tributaria locale, oltre a un sistema giudiziario nettamente più efficiente rispetto alla media.

In coda alla classifica si posizionano Isernia, Catania e Napoli. Come si vede, non si tratta necessariamente di città economicamente poco vivaci: seppure non al livello delle principali metropoli del Nord, queste città hanno un’economia relativamente dinamica, seppure indicatori quali il numero di imprese pro capite o il numero di addetti rispetto alla popolazione trasmettano l’impressione di una condizione di relativa paralisi. Si tratta anche di città caratterizzate da una seria difficoltà nella gestione del bilancio, segnato quindi da un forte livello di indebitamento e da una pressione tributaria elevata.

La ricerca è rilevante non solo in quanto la libertà economica viene tipicamente associata a migliori performance, per esempio, nei tassi di crescita economica e nell’occupazione, ma anche perché un tale dinamismo economico a livello locale è strettamente legato alla qualità della vita delle persone. Non è un caso che ci sia un buon grado di correlazione tra l’Indice IBL della libertà economica nelle città e quello sulla qualità della vita nelle province italiane realizzata dal Sole24 Ore. L’interesse di un’analisi a livello locale, infatti, consiste nel fatto che è nelle città – e tra le città – che si svolge la vita concreta delle persone. Non soltanto, quindi, la loro attività economica o la possibilità di avere successo, ma anche l’esercizio di tutte le altre attività di cui è fatta la vita delle persone, dal tempo libero ai servizi, dalla cura dei figli agli spostamenti.

La prima riflessione che si può fare riguarda l’ampiezza delle attività economiche nelle città e la presenza di vincoli. Tali vincoli possono avere diversa natura, per esempio possono essere legati alla fiscalità locale, al peso della macchina pubblica sul territorio, alla vitalità dell’economia o all’efficienza dei servizi pubblici (in particolare la giustizia). Ma c’è un punto che spesso viene ignorato: i servizi pubblici possono essere organizzati in molti modi, sia dal punto di vista delle modalità di affidamento, sia da quello dell’individuazione del loro perimetro. Troppo spesso, i comuni e le regioni non solo ne affidano la produzione a società controllate (anziché selezionare i soggetti più efficienti tramite gare), ma addirittura disegnano in modo estensivo l’ambito dell’intervento pubblico.

In ultima analisi, un indicatore come questo dice anche qualcosa di più di quello che si propone di fare. La realtà è che, in senso profondo, una città è anzitutto un mercato del lavoro. Certo, una città è anche molto di più e le persone dalla città in cui vivono chiedono ben altri e più ampi servizi. Tuttavia, sono le opportunità professionali che le portano a stabilire il luogo in cui vivere ed è da questo che deriva la domanda di servizi ulteriori. Quindi anche il miglioramento di questi altri servizi non può che derivare dall’aumento del dinamismo economico, dell’attrattività e della vitalità imprenditoriale di una città. Se questa è la domanda, allora la libertà economica è certamente parte della risposta

La ricerca integrale è visionabile al seguente indirizzo:
https://www.brunoleoni.it/ricerche/liberta-economica-citta-italiane/


Fonte: articolo di Roberto Onorati