indagine-demopolis-autonomia-differenziataL’Italia è già divisa, ma l’autonomia differenziata aumenterebbe i divari: ecco i risultati dell’indagine Demopolis analizzati da Fabio Ascenzi.


L’autonomia differenziata divide in due il Paese ancor prima della sua approvazione e degli effetti che ne verrebbero prodotti. È la sintesi che emerge da una recentissima indagine condotta dall’Istituto Demopolis per la Fondazione Con il Sud, su un campione di 4.002 intervistati che, come specificato nella nota informativa, si ritiene statisticamente rappresentativo dell’universo della popolazione italiana maggiorenne, stratificato per quote sulla base del genere, dell’età e della macro-area geografica di residenza.

L’indagine Demopolis: autonomia differenziata aumenta i divari

Secondo il 53% l’autonomia differenziata è una misura inopportuna e sbagliata, poiché favorirebbe solo le Regioni più ricche; per il 35% è invece necessaria e urgente, perché aiuterebbe tutti, mentre il 12% non si esprime. Come prevedibile, il dato presenta percentuali sensibilmente diverse se scorporato in base ai macro-territori. Quel 35% di favorevoli a livello nazionale, infatti, è dato dalla media di un consenso relativamente alto al Nord (52%), basso al Centro (29%) e minimo nel Meridione (14%).

La stessa tendenza è stata rilevata quando si sono indagate le aspettative dei cittadini sul cambiamento della qualità dei servizi nella propria Regione qualora l’autonomia venisse effettivamente attuata: la media nazionale risulta essere di un 42% che ritiene possa esserci una variazione in positivo, 45% in negativo, mentre il 13% non si esprime.

Ma anche qui la differenza di giudizio muta in maniera sostanziale a seconda del luogo dove si vive, considerato che queste percentuali si specificano nel 66% – 21% – 13% per il Nord; 38% – 44% – 18% per il Centro; 11% – 81% – 8% per il Meridione.

Una valutazione sui servizi pubblici offerti dalle varie Regioni

È evidente come tali risultati siano condizionati non solo da un giudizio complessivo sulla riforma, che può avere comprensibilmente consensi differenti tra le diverse parti del Paese, ma soprattutto dalla valutazione sui servizi pubblici offerti dalla propria Regione. Pesa, innanzitutto, la preoccupazione che il procedere di un siffatto progetto possa portare a un ulteriore divario nelle risorse economiche necessarie al loro funzionamento e per la riduzione delle disparità già esistenti.

In precedenti riflessioni ho riportato alcuni dati che tratteggiano in maniera inequivocabile tali divari, soffermandomi in particolare sulle diseguaglianze prodotte dallo stesso Stato, a causa del metodo continuamente utilizzato nella ripartizione delle risorse assegnate alle Regioni per i servizi ai cittadini.

Basti qui richiamare la più recente Relazione Annuale dei Conti Pubblici Territoriali 2021, dove si legge che la spesa totale del Settore Pubblico Allargato, con riferimento ai macro-territori, nel 2019 risultava realizzata per 685 miliardi di euro nel Settentrione e per soli 276 miliardi nel Mezzogiorno. Misurata in valori pro capite costanti, la spesa ammontava a 16.092 euro erogati per ogni cittadino italiano; ma nello specifico sono stati destinati 17.363 euro/abitante nel Centro-Nord e 13.607 euro nel Mezzogiorno. A distanza di qualche anno, la situazione fotografata non sembra aver avuto cambiamenti degni di nota.

Non possono, pertanto, sorprendere le risposte all’indagine Demopolis allorché si cerchino le motivazioni di questa diversità di giudizio sulla ulteriore differenziazione proposta nel disegno di legge sull’autonomia.

Il 43% degli intervistati, infatti, ritiene che il welfare pubblico della propria Regione (sanità, servizi sociali, scuola, ecc.) garantisca soltanto le prestazioni fondamentali, il 38% che non riesca a garantire neppure quelle e solo il 19% afferma che assicura tutte le prestazioni di cui c’è bisogno (percentuale che scende ulteriormente al 13% nelle risposte dei cittadini del Mezzogiorno).

La divisione tra le diverse aree appare ancora più palese nel giudizio dato rispetto alla soddisfazione sui servizi pubblici offerti complessivamente dal territorio dove si vive. Il 25% del campione ritiene che siano ottimi o buoni, il 33% sufficienti e il 42% insufficienti. Ma se si vanno a scorporare ancora questi dati per le diverse aree di residenza si scopre che i voti superiori alla sufficienza sono sensibilmente differenti nel Nord (70%) rispetto a quelli del Centro (57%) e del Meridione (39%).

Risulta invece univoca su base nazionale la preoccupazione che a pesare maggiormente sul futuro del nostro Paese saranno la fragilità della sanità pubblica (84%), l’inflazione e la riduzione del potere di acquisto delle famiglie (65%), le carenze nei servizi sociali e scolastici (62%).

La percezione del divario

Un’ulteriore conferma di quanto vi sia una forte coscienza di questa situazione arriva da un’altra sezione dell’indagine Demopolis, dove il 45% ritiene che negli ultimi 5 anni il divario tra Nord e Sud sia aumentato, per il 40% è rimasto uguale, mentre solo per il 6% è diminuito (il 9% non sa). A fare la differenza è ancora la residenza, visto che la percezione negativa raggiunge percentuali molto più alte tra i cittadini del Meridione, dove il 60% vede il divario aumentato, il 28% rimasto uguale e solo il 3% diminuito.

La preoccupazione espressa per la fragilità della sanità pubblica, tra l’altro, non è facilmente derubricabile a mera opinione, considerato che trova autorevoli conferme fattuali. L’ultima Relazione al Parlamento sulla gestione dei servizi sanitari regionali, depositata dalla Corte dei conti lo scorso aprile, sottolinea infatti la permanenza di diffuse disuguaglianze territoriali che penalizzano prevalentemente le Regioni del Mezzogiorno, come evidenziano sia i risultati degli indicatori per il monitoraggio dei LEA relativi al 2021, sia le condizioni di salute misurate dagli indicatori di Benessere Equo e Solidale (BES 2023): la speranza di vita senza limitazioni nelle attività a 65 anni, pari a 10 anni a livello nazionale, scende a 8.3 nel Mezzogiorno e a 7.8 nelle Isole, mentre nel Nord sale a 11 anni.

La consapevolezza tra gli intervistati sul tema

Questa consapevolezza sull’esistenza dei divari sembrerebbe chiara anche tra gli intervistati che, pur nelle difformità date dal luogo di residenza, consegnano all’indagine dati alquanto inequivocabili: il 51% del campione testato ritiene che l’Italia sia poco unita sul piano sociale ed economico, il 31% per niente, il 17% abbastanza, mentre solo un irrilevante 1% molto. E forse anche per ciò il 65% crede che lo sviluppo dei territori debba essere pianificato dallo Stato, con il coinvolgimento di imprese e cittadini, per assumere scelte condivise; a questi si somma un ulteriore 18% che lo affiderebbe esclusivamente allo Stato per garantire la tutela degli interessi comuni.

E il ddl va avanti

Ma, intanto, il disegno di legge sull’autonomia si appresta a ricevere il voto di approvazione definitiva dalla Camera dei deputati. Evidentemente quanto riportato, che va ad aggiungersi alle numerose criticità di merito avanzate sulla proposta, non sembra incoraggiare urgenti riflessioni in chi considera che la risposta a queste problematiche possa essere affidata a un progetto di un regionalismo differenziato dal chiaro stampo competitivo, nonché molto distante dai princìpi dell’uguaglianza sostanziale e della perequazione dettati dagli articoli 3 e 119 della nostra Costituzione.


Fonte: articolo di Fabio Ascenzi