L’Avvocato Maurizio Lucca commenta, per Lentepubblica.it, una recente sentenza della Corte dei Conti sugli incarichi legali affidati in modo illegittimo da un ordine professionale.
Responsabilità
La Corte dei Conti, sez. I giur. Appello, con la sentenza 27 ottobre 2022, n. 469, conferma la condanna in primo grado di una condotta gravemente colposa consistente in affidamenti di incarichi legali, al di fuori delle finalità istituzionali perseguite dall’Ordine professionale.
In primo grado, il convenuto veniva condannato per il pregiudizio erariale arrecato, in concorso con altri soggetti, chiamati a risarcire le rispettive quote (il presidente e i consiglieri dell’Ordine territoriale), a causa della cattiva gestione delle risorse finanziarie in relazione a incarichi di consulenza legale aventi a oggetto attività ritenute estranee a quelle di interesse istituzionale (contra legem) e poste in essere in contrasto con la normativa di settore:
- 7, Gestione delle risorse umane, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001 (TUPI);
- 1, comma 1, della legge n. 311 del 2004 (legge finanziaria 2005);
- 3, commi 18 e 54, della legge n. 244 del 2007 (legge finanziaria 2008).
In definitiva, la colpa grave risiede nelle consulenze affidate in violazione dei parametri di economicità e di efficacia, quale specificazione del nuovo principio di legalità, cui deve essere ispirata l’azione pubblica, oltre al mancato assolvimento dell’interesse affidato alla cura dei chiamati [1].
Motivi dell’appello
Nell’appello si segnalano una serie di vizi della decisione, correlati:
- alla lamentata invasione della sfera non sindacabile, volta a far valere la cd. scriminante politica, non potendo il giudice contabile valutare i comportamenti che si sostanziano in scelte discrezionali (sarebbe preclusa ogni parametrazione della conformità a criteri di ragionevolezza e di economicità nell’agire pubblico);
- non sarebbe applicabile la disciplina che imporrebbe delle regole di selezione del contraente in presenza di una valida delibera autorizzativa, avvenuta ex post da parte dell’Assemblea degli iscritti (donde, piena libertà di affidare incarichi anche al di fuori degli interessi degli iscritti);
- mancherebbe l’elemento soggettivo nell’operato dei componenti dell’Ordine;
- non è stata accolta la richiesta di riduzione dell’addebito (aspetto, invero, che non può essere definito come un meccanismo automatico di applicazione, essendo ancorato alla positiva e riconoscibile sussistenza delle condizioni che inducano a decurtarlo, in deroga al principio dell’integrità risarcitoria) [2].
Natura degli Ordini professionali e giurisdizione erariale
Sulla natura dell’ordine e sulla loro sottoposizione alla giurisdizione erariale (oltre che alle misure anticorruzione e trasparenza) [3] vengono annotate una serie di sentenze, dapprima esclusa [4], poi affermata [5], e, infine, definitivamente riconosciuta [6]:
- l’Ordine professionale si articola nel Consiglio nazionale e negli Ordini territoriali, la cui natura di enti pubblici non economici a carattere associativo è espressamente prevista dall’art. 6 del d.lgs. 28 giugno 2005, n. 139;
- sono soggetti esclusivamente alla vigilanza del Ministero della Giustizia;
- natura pubblica risiede nell’indubitabile qualificazione pubblica del patrimonio degli stessi [7];
- gestione delle risorse per finalità esclusivamente pubbliche [8];
- natura tributaria dei contributi obbligatoriamente versati dai professionisti privati aderenti [9] di iscrizione agli albi relativi all’esercizio di determinate professioni, sottolinea la doverosità della prestazione e il collegamento della prestazione imposta alla spesa pubblica riferita a un presupposto economicamente rilevante, «costituito dal legittimo esercizio della professione per il quale è condizione l’iscrizione ad un determinato albo»;
- ne consegue che la spesa pubblica, relativa alla provvista dei mezzi finanziari necessari all’Ente delegato dall’ordinamento al controllo dell’albo specifico nell’esercizio di una evidente funzione pubblica di tutela dei cittadini potenziali fruitori delle prestazioni professionali degli iscritti circa la legittimazione di questi ultimi alle predette prestazioni [10].
Tutti i profili finalistici segnalati militano per la configurabilità della giurisdizione contabile, relativa al cd. danno erariale:
- dell’aspetto soggettivo (natura pubblica dell’Ordine);
- dell’esistenza di un interesse pubblicistico riferibile a tale Ente, per cui il suo patrimonio deve essere gestito, indipendentemente dalla provenienza delle sue singole componenti, con criteri rispondenti alla migliore realizzazione di quell’interesse, senza poter essere utilizzato per altre ragioni [11].
Merito
L’appello non viene accolto per la sua infondatezza con le seguenti motivazioni:
SULL’ESERCIZIO DELLA GIURISDIZIONE ERARIALE
Non sono stati travalicati i limiti di cognizione sull’insindacabilità delle scelte discrezionali (il cd. merito), ex art. 1, Azione di responsabilità, comma 1, della legge 20 del 1994 [12], né si potrebbe affermare che gli apprezzamenti – in termini di convenienza e di opportunità (effettuati dal giudice di primo grado) – hanno sconfinato o debordato nello spazio di “riserva di amministrazione” (i cd. limiti interni).
In particolare, la valutazione sull’affidamento degli incarichi legali non è atterrata sulle modalità o sulle strategie più adeguate alla tutela degli interessi dell’Ente, nell’ambito dei diversi contenziosi in cui si è trovato coinvolto, quando semmai nella valutazione della loro efficacia in termini di utilità dell’agire (alias stretta legittimità), seguendo i criteri della giurisprudenza consolidata [13]:
- apprezzare se gli strumenti utilizzati dagli amministratori pubblici siano adeguati, oppure esorbitanti ed estranei ai fini di interesse pubblico da perseguire con risorse pubbliche, non prescindendo dalla valutazione del rapporto tra gli obiettivi conseguiti e i costi sostenuti;
- il controllo sui livelli di conformità alla legge, incluso il corretto uso del potere discrezionale da parte dei soggetti emananti [14], i quali devono attenersi alla corrispondenza degli atti ai limiti fissati dalle norme disciplinanti la materia (quelle di competenza degli ordini, ex lgs. n. 139 del 2005): trovano puntuale regolamentazione le competenze intestate all’organo (rectius componenti del consiglio) che non può svincolarsi dai detti parametri;
- la verifica del concreto perseguimento dei fini di legge, ovvero quelli dell’Ordine professionale, secondo il corretto utilizzo delle risorse e dei fondi pubblici gestiti con le disposizioni e ai principi che ne disciplinano le modalità di impiego: il perseguimento delle finalità istituzionali, e non ad esse aliene;
- nel caso concreto, è stato appurato che le risorse sono state utilizzate per assecondare la posizione di contrarietà tenuta dai convenuti nei confronti della riforma avviata con il d.lgs. n. 139 del 2005 (riforma dell’ordine, con accorpamento di più categorie professionali), in evidente antitesi con gli intenti del legislatore e, dunque, privo di qualunque utilità all’ordine stesso, «come emerso dalla semplice ricognizione dei risultati conseguibili e, di fatto, conseguiti».
OLRE I FINI ISTITUZIONALI
Si ricava, quindi, che gli incarichi affidati non corrispondevano al perseguimento dei fini istituzionali (travalicando i limiti di competenza), ma a posizioni di parte, estranee agli interessi dell’Ordine di appartenenza, come l’affidamento di altri incarichi diretti a tutelare una vicenda in cui un suo componente (il presidente) risulta stato parte.
In quest’ultimo caso, è di tutta evidenza che si debba escludere che il bilancio di un Ente pubblico possa sopportare le spese finalizzate alla cura delle esigenze di un singolo, mancando ogni base giuridica: l’accollo all’Amministrazione di oneri legali sostenuti dal dipendente pubblico, per i giudizi in cui è coinvolto, per atti connessi con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali, sono oggetto di rimborso nei rigorosi limiti stabiliti dalla legge (che nel caso di specie sono assenti).
La spesa risulta del tutto ingiustificata.
L’ASSENZA DEI PRESUPPOSTI PER LE CONSULENZE ESTERNE
Veniva accertato che l’affidamento ad alcuni legali comprendevano attività tipiche dell’organizzazione non estendibili con un incarico consulenziale esterno, essendo prestazioni tipicamente amministrative proprie della struttura, senza alcuna motivazione da una parte, dell’assenza di professionalità interne, dall’altra parte, della complessità e temporaneità dell’incarico, sotto il profilo dell’oggetto negoziale (in una fattura si riportava genericamente “consulenze annuali”, aspetto ex se di palese illegittimità) della durata certa ed entro limiti definiti del contenuto prestazionale, in violazione diretta con l’art. 7, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001, in materia di incarichi nella Pubblica Amministrazione.
È noto che devono corrispondere a precisi criteri quali:
- rispondenza dell’attività con gli obiettivi dell’Ente;
- preventiva verifica del difetto di risorse interne utilizzabili;
- oggetto (che non può avere un contenuto fumoso, non rispondente ad alcun concreto e riconoscibile interesse per l’Ente) e termine di conclusione definito (il periodo, in realtà comprendeva più anni, violando il precetto della temporaneità);
- predeterminazione del compenso;
- esperibilità di una procedura comparativa.
La scrittura dei presupposti per gli incarichi consulenziali e la sua linearità interpretativa (in claris non fit interpretatio), comporta che la violazione di queste chiare disposizioni normative che, peraltro positivizzano regole di assoluto buon senso, non possono non integrare quantomeno la colpa grave [15].
L’attività consulenziale affidata ai legali esterni si pone in contrarietà con le norme di riferimento, dimostrando ictu oculi l’incompatibilità degli atti compiuti con gli scopi individuati dal legislatore, e, di riflesso, le spese sostenute risultano indebite: «del tutto inconciliabili – ovvero in contraddizione – con le finalità istituzionali e volte a realizzare interessi di una parte (per quanto concerne l’opposizione alla riforma di cui al d.lgs. 139 del 2005) o individuali (per quanto attiene al procedimento disciplinare nei confronti dello stesso appellante) o, comunque, non compiutamente identificabili o non delegabili a esterni».
GLI INTERESSI DELL’ORDINE E QUELLI PERSONALI
La sentenza si sofferma con una precisazione sull’interesse dell’Ordine e dei suoi iscritti, distinguendo quello che può essere svolto per finalità istituzionali, quelle nell’interesse proprio dei suoi iscritti, da quelle estranee e personali di coloro in dissenso (nella fattispecie con la riforma dell’Ordine).
Senza indugiare oltre, il comportamento di assecondare gli interessi personali ha comportato un inutile dispendio di risorse, «a fronte dell’assoluta impossibilità per l’Ente di sottrarsi al riassetto organizzativo e del prevedibile risultato sfavorevole del giudizio instaurato per tale non giustificabile proposito» (quasi una lite temeraria, persa in partenza).
Avendo una minima cognizione del diritto della PA, o, più in generale, dei principi che governano l’ordinamento e i suoi organi, si avrebbe potuto immediatamente comprendere (percepire, il cd. minimo etico) che l’organizzazione degli uffici pubblici è una competenza che spetta al legislatore: la illecita condotta perpetrata, si legge, può essere riassunta (nella sua essenza) «nella violazione dei fondamentali principi di legalità e di imparzialità cui è ispirato ogni soggetto pubblico e che trovano definizione nell’art. 97 della Costituzione, secondo il quale i pubblici uffici sono organizzati secondo le disposizioni di legge, che ne determina la sfera dei poteri e le funzioni».
Gli incarichi legali aventi questa causale, peraltro non preceduti da formale deliberazione di incarico, risultano del tutto illegittimi, avendo ad oggetto una prestazione di contrasto alle misure attuative del d.lgs. n. 139 del 2005: «i relativi esborsi sono, dunque, da ritenersi del tutto estranei ai fini perseguibili dall’Ente», dovendo constatare che le attività procurate – con gli incarichi legali affidati – non possiedono alcuna funzionalità rispetto agli interessi pubblici sottesi alle attribuzioni dell’Ordine.
POTERE RIDUTTIVO
Lo strumento di graduazione della condanna non opera (e non ha operato) in relazione:
- alla gravità della condotta;
- alla sua reiterazione nel tempo;
- alla luce dei molteplici ed eterogenei incarichi forieri di pregiudizio.
Note
[1] Si rinvia LUCCA, Incarichi di consulenza e di servizi legali. Guida completa alle procedure, 2020, Maggioli.
[2] Il potere riduttivo, originariamente disciplinato dall’art. 52 T.U. del 1934, è rimasto inalterato dopo l’entrata in vigore del Codice di giustizia contabile che non ha abrogato l’articolo: tale potere di esercitare la riduzione dell’addebito è meramente eventuale ed ampiamente discrezionale, incombendo sul giudice solo un generico dovere di motivazione unicamente qualora ne faccia uso, avendo come limiti la coerenza e la proporzionalità, non potendo trascendere nell’abuso e/o nell’arbitrio, Corte conti, sez. III Appello, 27 dicembre 2021, n. 603.
[3] Nel PNA 2016, delibera ANAC n. 831 del 3 agosto 2016, all’approfondimento n. III, Ordini e i Collegi professionali, si precisa che «sono tenuti a osservare la disciplina in materia di trasparenza e di prevenzione della corruzione nonché gli orientamenti del presente PNA, secondo quanto previsto dal d.lgs. 97/2016 ed, in particolare, dagli artt. 3, 4 e 41 che hanno modificato, rispettivamente gli artt. 2 e 3 del d.lgs. 33/2013 e, tra l’altro, l’art. 1 c. 2 della l. 190/2012».
[4] Corte conti, sez. giur. Veneto, sentenza n. 199/2013.
[5] Corte conti, sez. III Appello, sentenza n. 366/2016.
[6] Cass. civ., SS.UU., 26 giugno 2019, n. 17118.
[7] Cass. civ., SS.UU., 17 maggio 1995, n. 5393.
[8] Cass. civ., SS.UU, ord., 21 dicembre 2012, n. 23860.
[9] Cass. civ., SS.UU., 29 novembre 2011, n. 1782.
[10] Cass. civ., SS.UU., 24 aprile 2017, n. 7666. Cfr. Corte Cost., 3 novembre 2005, n. 405, laddove si afferma che «La vigente normazione riguardante gli Ordini e i Collegi risponde all’esigenza di tutelare un rilevante interesse pubblico la cui unitaria salvaguardia richiede che sia lo Stato a prevedere specifici requisiti di accesso e ad istituire appositi enti pubblici ad appartenenza necessaria, cui affidare il compito di curare la tenuta degli albi nonché di controllare il possesso e la permanenza dei requisiti in capo a coloro che sono già iscritti o che aspirino ad iscriversi. Ciò è, infatti, finalizzato a garantire il corretto esercizio della professione a tutela dell’affidamento della collettività».
[11] Cass. civ., SS.UU., ordinanza 9 settembre n. 2016, n. 17748.
[12] L’accertamento rimesso alla Corte dei Conti si attiene alla verifica di difformità delle attività di gestione del denaro pubblico rispetto alle finalità, di preminente interesse pubblico, che allo stesso imprime la normativa vigente, debordando dai limiti esterni della giurisdizione contabile solo allorché investa scelte di “merito” effettuate nell’esercizio del mandato (utilizzo delle risorse dei gruppi consiliari, caso di specie) e non quando, invece, si mantenga nell’alveo di un giudizio di conformità alla legge dell’azione amministrativa, Cass. civ., SS.UU, ordinanza, 10 novembre 2021, n. 33000. Idem, Corte conti, sez. giur. Calabria, 4 novembre 2021, n. 259, ove sono stati ritenuti affetti da evidente violazione di legge i rimborsi spese non inerenti alle finalità istituzionali in senso stretto dei gruppi consiliari, cui non possono ricondursi generiche finalità “politiche” dei partiti sottesi a tali gruppi.
[13] Corte conti, sez. I Appello, sentenza n. 181/2019); Cass. civ., SS. UU., sentenze n. 6820/2017 e n. 1408/2018.
[14] Corte conti, sez. II Appello, sentenza n.149/2020.
[15] Corte conti, sez. giur. Lazio, 8 febbraio 2022, n. 114.
Fonte: articolo dell'Avv. Maurizio Lucca - Segretario Generale Enti Locali e Development Manager