In Italia le imprese guidate da stranieri continuano ad aumentare. Tra il 2013 e il 2014 sono cresciute del 4,1 per cento, superando, in valore assoluto, quota 733.500. Quelle condotte da cinesi hanno addirittura registrato un vero e proprio boom: sempre nell’ultimo anno sono salite del 5,1 per cento, sfiorando di poco la soglia delle 69.500 unità.
Per imprenditori stranieri si intendono le persone nate all’estero titolari di cariche imprenditoriali (soci, titolari, amministratori o altre cariche) nelle imprese registrate presso le Camere di Commercio.
Su poco più di 733.500 imprenditori stranieri presenti nel nostro Paese, il Marocco è il Paese di provenienza che ne conta il maggior numero: 74.520. Segue la Romania, con 70.104 e, subito dopo, la Cina, con 69.401. Di rilievo la crescita delle attività condotte dai cittadini del Bangladesh: nell’ultimo anno la variazione è stata del + 19 per cento, mentre in valore assoluto hanno di poco superato le 34.100 unità.
Rispetto al 2009, anno in cui inizia a farsi sentire la crisi economica, le attività cinesi che sono al centro di questo approfondimento sono aumentate addirittura del 39,2 per cento, contro un incremento medio dell’imprenditoria straniera presente in Italia pari a 22,5 per cento.
I settori maggiormente interessati dalla presenza degli imprenditori provenienti dal paese del dragone sono il commercio, con quasi 24.571 attività (con un buon numero di imprese concentrate tra i venditori ambulanti), il manifatturiero, con poco più di 18.450 imprese (quasi tutte riconducibili al tessile-abbigliamento e calzature) e la ristorazione-alberghi e bar, con quasi 14.800 attività.
Ancora contenuta, ma con un trend di crescita molto importante, è la presenza di imprenditori cinesi nel settore dei servizi alla persona, ovvero tra i parrucchieri, le estetiste e i centri massaggi: il numero totale è di poco superiore alle 4.100 unità, ma tra il 2013 ed il 2014 l’aumento è stato fortissimo: +22,4 per cento.
“Al netto delle situazioni di illegalità e di sfruttamento della manodopera che vanno assolutamente contrastati – segnala Paolo Zabeo della CGIA – la storia ci insegna che da sempre i cinesi hanno manifestato una spiccata propensione all’autoimprenditorialità. Verso la metà degli anni ’80 hanno cominciato a conquistare il nostro mercato domestico del tessile, della calzatura e della pelletteria. Ora, una parte dei pubblici esercizi, dei piccoli negozi commerciali e delle attività legate alla cura della persona – come i parrucchieri, le estetiste e i centri massaggi – sono guidate da cittadini cinesi che praticano una concorrenza fortissima nei confronti degli operatori italiani. Questi ultimi, sfiancati dalla crisi, stanno progressivamente gettando la spugna, lasciando sempre più spazio ad attività straniere che stanno cambiando completamente il volto dell’offerta commerciale delle nostre città.”
Come dicevamo più sopra, la vocazione imprenditoriale dei migranti cinesi è molto spiccata. Se l’incidenza degli imprenditori stranieri sul totale dei residenti stranieri presenti in Italia è pari al 14,6 per cento, quelli cinesi sono addirittura il 26,1 per cento: su oltre 265.800 cinesi residenti in Italia, ben 69.401 guidano un’attività economica.
La Lombardia, con oltre 15.252 attività, è la regione più popolata da aziende guidate da imprenditoriali cinesi: seguono la Toscana, con 12.310 attività, il Veneto, con oltre 8.360 e l’Emilia Romagna, con 6.960. In queste quattro Regioni si concentra il 61 per cento del totale degli imprenditori cinesi presenti nel nostro Paese.
Infine, le rimesse inviate in patria dai cittadini cinesi hanno subito negli ultimi anni un brusco calo, dovuto in buona parte alla crisi economica. Negli ultimi tre anni il calo è stato del 69,4 per cento, molto più intenso rispetto al totale degli stranieri (-21,9 per cento). Se nel 2012 i cinesi inviavano in patria un ammontare di 2,67 miliardi di euro, questo valore si è ridotto a 1,10 miliardi nel 2013 e a 820 milioni di euro nel 2014. Parallelamente, mentre nel 2012 le rimesse dei cinesi rappresentavano il 39,1 per cento delle rimesse totali, nel 2013 si sono ridotte al 19,8 per cento e nel 2014 al 15,4 per cento.