imprese-pa-interdittiva-antimafiaNel corso di rapporti intercorsi tra Imprese e PA, l’interdittiva antimafia in quali casi può essere giustificata? Ecco cosa ha stabilito il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 5410/2018.


Ai fini dell’adozione di un’informativa, non occorre provare l’intervenuta infiltrazione mafiosa, bensì solo la sussistenza di elementi sintomatico-presuntivi dai quali sia deducibile il pericolo di ingerenza da parte della criminalità organizzata. A questa conclusione era arrivata, qualche settimana fa, il TAR Lombardia.

 

Cosa ha deciso il Consiglio di Stato?

 

Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 5410/2018, si è spinto oltre: va infatti a toccare quella zona grigia (e molto delicata) che interessa i rapporti tra pubblico e privato. Nello specifico tra Imprese e Pubbliche Amministrazioni.

 

Infatti, all’impresa non è bastato aver licenziato i dipendenti affiliati o vicini alla mafia perché cadesse nel nulla il divieto di contrattare con la Pa. Basta, infatti, che un solo dipendente sia in odore di criminalità organizzata per farla scattare.

 

Le imprese di fronte alla Pa sono libere di scegliere quali dipendenti assumere quando non intendano avere rapporti con le pubbliche amministrazioni. Ma in caso contrario, devono vigilare affinché nella loro compagine non vi siano dipendenti contigui al mondo della criminalità organizzata.

 

L’interdittiva antimafia

 

Ai sensi dell’art. 84, comma 4, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, ai fini della legittima adozione dell’informativa antimafia occorre un quadro indiziario più che sufficiente – in base alla regola causale del ‘più probabile che non’ – a ingenerare un ragionevole convincimento sulla sussistenza di un condizionamento mafioso in capo all’impresa ricorrente.

 

Tale provvedimento, infatti, mira a prevenire tentativi di infiltrazione mafiosa nelle imprese, volti a condizionare le scelte e gli indirizzi della Pubblica amministrazione. E si pone in funzione di tutela sia dei principi di legalità, imparzialità e buon andamento, riconosciuti dall’art. 97 Cost., sia dello svolgimento leale e corretto della concorrenza tra le stesse imprese nel mercato, sia, infine, del corretto utilizzo delle risorse pubbliche.