Il documento emanato dal Comitato europeo dei Diritti Sociali del Consiglio d’Europa  – che, va ricordato, non è un organismo di rappresentanza politica –  in cui si attribuiscono all’Italia presunte violazioni dei diritti delle donne riguardo la legge 194, non ha tenuto conto del quadro complessivo emerso dalle diverse relazioni sulla stessa legge, presentate ogni anno al parlamento.

Dai dati infatti, puntualmente raccolti regione per regione dall’Istituto Superiore di Sanità, emerge con chiarezza che il carico di lavoro per i ginecologi non obiettori negli ultimi trent’anni si è dimezzato, passando da 3.3 aborti a settimana nel 1983 agli attuali 1.7, considerando 44 settimane lavorative in un anno.

Anche il calcolo eseguito per ciascuna regione italiana, conferma un impegno di lavoro congruo per i non obiettori: si va da un minimo di 0.5 ivg a settimana della Val d’Aosta a un massimo di 4 ivg a settimana per il Lazio.

Appare difficile, a fronte di tali dati, sostenere che il numero elevato degli obiettori di coscienza sia un ostacolo per l’accesso all’ivg.

Il Ministero comunque ha già avviato, insieme alle regioni, un monitoraggio che coinvolge ogni struttura sanitaria in cui potenzialmente potrebbe essere presente un accesso ivg, e anche ogni singolo consultorio: le schede di raccolta dati, concordate nell’ambito di un tavolo tecnico ministero-regioni, sono già state inviate alle singole regioni, che le stanno elaborando.

Il Ministero valuterà se sia il caso di fornire questi dati, peraltro pubblici, al Comitato europeo dei Diritti Sociali del Consiglio d’Europa, per effettuare delle controdeduzioni.

FONTE: Ministero della salute

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