Il reato di abuso d’ufficio quale comportamento richiede per la sua consumazione? Lo ricorda il Tribunale di Catania in un’ordinanza recente.
Deve ribadirsi il principio per cui ai fini dell’integrazione dell’abuso d’ufficio (art. 323 cod. pen.) è necessario che sussista la c.d. “doppia ingiustizia”, nel senso che ingiusta deve essere la condotta, in quanto connotata da violazione di legge, ed ingiusto deve essere l’evento di vantaggio patrimoniale, in quanto non spettante in base al diritto oggettivo regolante la materia; conseguentemente, occorre una duplice distinta valutazione in proposito, non potendosi far discendere l’ingiustizia del detto vantaggio dalla illegittimità del mezzo utilizzato e, quindi, dall’accertata esistenza dell’illegittimità della condotta.
Il delitto si consuma con il verificarsi del vantaggio o del danno, che costituiscono l’evento del reato. Ingiusto è quel danno o quel vantaggio che, qualora fossero state rispettate ed ottemperate le norme concretamente violate dall’agente, non si sarebbe realizzato. E tuttavia, ai fini della penale rilevanza della condotta la mera illegittimità della stessa ancora non basta, dovendo l’evento configurarsi nella intenzione dell’agente, quale scopo od obbiettivo perseguito, ed intenzionalmente voluto.
Sulla medesima linea di pensiero la Suprema Corte, con recente pronuncia, ha ribadito come “l’intenzionalità”, lungi dall’attestare l’esclusività del fine che deve animare l’agente, indica invece ”la preminenza data all’evento tipico rispetto al pur concorrente interesse pubblico, che finisce con l’assumere un rilevo secondario e, per così dire, derivato od accessorio”. La Corte ha rilevato altresì come, sul piano tecnico, la prova del requisito dell’intenzionalità richieda “la certezza che l’intento e la volontà dell’imputato siano stati orientati proprio per procurare il vantaggio patrimoniale (ovvero il danno) ingiusto”.
In tema di abuso di ufficio, il requisito della violazione di legge può consistere anche nella inosservanza dell’art. 97 della Costituzione, nella parte immediatamente precettiva che impone ad ogni pubblico funzionario, nell’esercizio delle sue funzioni, di non usare il potere che la legge gli conferisce per compiere deliberati favoritismi e procurare ingiusti vantaggi ovvero per realizzare intenzionali vessazioni o discriminazioni e procurare ingiusti danni.