fertility dayIl prossimo 22 settembre è stato istituito il Fertility day che rappresenta un’occasione per richiamare l’attenzione di tutta l’opinione pubblica sul tema. Nell’idea originale poteva diventare una proposta d’incontro sul tema della fertilità con i giovani, gli insegnanti, le famiglie, i medici, coinvolgendo proprio questi ultimi in una serie di iniziative a partire dagli stessi studi medici.

 

Si tratta di mettere a fuoco il pericolo della denatalità, la bellezza della maternità e paternità, il rischio delle malattie che impediscono di diventare genitori, l’aiuto della medicina per le donne e per gli uomini che non riescono ad avere bambini prima che sia troppo tardi. Una grande manifestazione nazionale, dunque, con successiva cadenza annuale, in tutte le città che aderiranno e con il coinvolgimento dei sindaci dei comuni, degli Ordini dei Medici, delle società scientifiche, delle farmacie, delle scuole e delle famiglie.

 

Se non fosse per il semplice fatto che è scoppiata una grossa polemica a riguardo, che sta diventando un caso nazionale.

 

La fertilità sarà anche un bene comune ma i social non perdonano e attaccano direttamente il ministro, con frasi altrettanto dirette: «Ditelo alle donne che vorrebbero metter su famiglia ma sono precarie e licenziate se incinte». «Sembra una pubblicità del fascismo quando si chiedeva alla buona moglie di restare a casa e fare figli». «E quindi la femmina deve figliare sennò non è “buona”. Anni di emancipazione femminile buttati nel …», sono alcuni dei commenti al vetriolo postati su Twitter.

 

C’è anche quello dello scrittore Roberto Saviano tra i tantissimi tweet di critica al fertility day, l’iniziativa del ministero della Salute per informare le donne sui problemi legati alla fertilità. L’hashtag è ormai trending topic sui social, con molti commenti negativi soprattutto di donne. “Il #fertilityday è un insulto a tutti – dice lo scrittore – a chi non riesce a procreare e a chi vorrebbe ma non ha lavoro. E il 22 mi rovinerà il compleanno”.

 

A destare qualche legittima perplessità, infatti, forse è il linguaggio scelto e la decontestualizzazione del messaggio. C’è un dato di fatto sempre registrato dall’Istat: nel 2015 l’età media delle madri al parto è salito a 31,6 anni. Affrontare questo problema con uno slogan come «la bellezza non ha età, la fertilità sì» attira di certo l’attenzione, ma anche qualche giusta polemica.

 

Non vi è chi non veda che la possibilità di fare figli è legata a una certa possibilità economica ma soprattutto a una prospettiva stabile. Il livello di precarietà crescente dell’occupazione, soprattutto femminile (tasso di occupazione al 47,8% a fronte di un 57,3% maschile), soprattutto al Sud (dove storicamente le nascite sono copiose) rende difficile procreare.