Avviato l’iter, presso la Commissione europea, per la trasparenza delle etichette della pasta riguardo luoghi di origine e di lavorazione del grano. Ma la strada è ancora lunga.
Dopo il latte, è la volta della pasta. I Ministeri italiani delle Politiche agricole e dello Sviluppo Economico hanno inviato nello scorso mese alla Commissione Europea lo schema del decreto per rendere obbligatoria l’indicazione in etichetta dell’origine del grano utilizzato per produrre la pasta. Tale schema, in base alla procedura, è in attesa dell’approvazione definitiva.
In modo simile a quanto già approvato per il latte a lunga conservazione e per i formaggi, sull’etichetta della pasta dovrà essere indicato il Paese di coltivazione del grano e anche quello di macinatura.
La rivincita della pasta, sovrana della dieta mediterranea. Si tratta di un grande successo per la filiera della pasta, una filiera che vale 3,6 miliardi, con gli italiani che continuano a confermarsi tra i più assidui consumatori di pasta al mondo. Piatto cult della dieta mediterranea, nella sua ricetta tipica di “pasta al pomodoro condita con un filo di olio extravergine di oliva”, come si legge su www.ideegreen.it, portale che presenta diversi spunti e consigli per la corretta alimentazione, la pasta è il piatto a cui otto italiani su dieci, in particolare giovani, non riescono proprio a rinunciare nella loro alimentazione di tutti i giorni (Fonte: ricerca “Giovani e pasta: ritorno al futuro” realizzata da Doxa per Aidepi). I cosiddetti “millenials” cioè la generazione compresa tra i 15 e i 35 anni ha collocato infatti al primo posto nelle proprie abitudini alimentari la pasta, seguita da frutta e verdura e pane, in quanto cibo amato soprattutto per la sua versatilità, che lo rende adatto ad abbinarsi a diversi ingredienti e ad essere consumato in molteplici occasioni.
Più trasparenza per tutelare i consumatori. Il riconoscimento per la pasta è stato sostenuto dalla Coldiretti, per tutelare i consumatori dall’inganno legato al consumo di prodotti esteri spacciati per italiani, in cui sembra che ormai un pacco di pasta su tre contenga grano di origine straniera senza che il consumatore ne sia a conoscenza. Nonostante l’Italia sia infatti il principale produttore di grano duro in Europa e la filiera della pasta sia uno dei protagonisti del made in Italy, una buona parte del grano duro della pasta che gli italiani consumano proviene dall’estero. Questo ha comportato poi anche “un crollo dei prezzi del grano italiano al di sotto dei costi di produzione”, come ha specificato Antonio De Concilio, Direttore di Coldiretti Toscana, che metterebbe in pericolo non solo l’economia agricola del paese ma la sopravvivenza di intere aree agricole che potrebbero diventare a rischio di desertificazione.
Percorso di riconoscimento tutto in salita. Il percorso di attuazione del decreto non è tuttavia privo di complessità dato che la norma europea sarebbe applicata solo in Italia. Mentre per il latte, l’iter in Europa per la trasparenza delle etichette era stato sostenuto in primis dalla Francia, che aveva anche preceduto il nostro governo nella presentazione della richiesta, ora il percorso si fa più complesso, poiché l’Italia è sola a Bruxelles a sostenere questa iniziativa. Nel riportare il paese di origine e di macinazione del grano, le nuove etichette, ben visibili e indelebili, dovrebbero precisare se le fasi di lavorazione avvengono in più Paesi diversi, riportando, in base alle situazioni, le diciture “Paesi Ue”, “Paesi non Ue” e “Paesi Ue e non Ue”. Nel caso in cui il grano sia prodotto in modo maggioritario da un paese rispetto agli altri, ad esempio con una produzione italiana superiore al 50%, sull’etichetta sarà indicato il nome di quel paese, oltre agli altri, con la dicitura “Italia e altri Paesi Ue e/o non Ue”.
Anche l’industria è critica. Secondo le industrie di trasformazione, l’origine della pasta, da sola, non sarebbe sinonimo di qualità e non incentiverebbe gli agricoltori a investire nella produzione di grano di qualità, con un’offerta di grano nazionale che al momento non riesce a garantire al 100% la qualità e le quantità richieste dall’industria della trasformazione del grano. Il provvedimento è venuto incontro però non solo alle esigenze dei produttori ma soprattutto alle richieste di trasparenza dei consumatori, che hanno risposto in 26mila sul sito del Mipaaf alla consultazione pubblica on line sulla trasparenza delle etichette.