L’Avvocato Maurizio Lucca approfondisce il tema degli erronei pagamenti dolosi, con una recente sentenza della Corte dei Conti. 


La sez. giur. Campania, della Corte dei conti, con la sentenza n. 430 del 18 agosto 2024, condanna alcuni impiegati pubblici infedeli (operanti all’interno dell’area contabile dei contratti di un ente territoriale) e il tesoriere (istituto bancario affidatario del servizio di tesoreria, a titolo con partecipazione) per la liquidazione di mandati di pagamento a fronte di prestazioni fittizie, falsificando la realtà e la verità, che ne connota il reato, la c.d. fede pubblica.

In termini più divulgativi, è emerso che venivano effettuati pagamenti al tesoriere senza controlli di sorta, su mandati del tutto falsi, poiché riferiti ad attività mai eseguite, rectius crediti inesistenti.

Erronei pagamenti dolosi: la vicenda

La vicenda parte da una segnalazione della Procura della Repubblica alla Procura erariale per aver richiesto il rinvio a giudizio nei confronti dei convenuti che, in concorso con imprenditori e alcuni dipendenti del tesoriere, erano accusati di plurime condotte delittuose, consistenti nell’aver determinato l’indebito pagamento di ingenti somme di denaro in favore imprese private per lavori pubblici mai eseguiti o già saldati.

I titoli di pagamento del tutto falsi al fine di consentire la liquidazione da parte del tesoriere e la suddivisione dei relativi proventi tra i compartecipi dell’accordo delittuoso, alla stregua di uno stabile sodalizio criminale, ex art. 416 c.p. (fatti già oggetto di precedente giudizio penale ed erariale, in parte passato in giudicato, dunque una condotta illecita reiterata nel tempo, quasi un vizio malsano).

La Procura erariale, a seguito di ulteriori e separate indagini (con adeguato riscontro investigativo), ha appurato che i mandati di pagamenti alle imprese devono «ritenersi radicalmente indebiti e altresì privi di ontologici presupposti, facendo riferimento a causali giustificative solo formalmente inerenti a corrispettivi per l’esecuzione di lavori pubblici, ma in realtà in toto inesistenti e artefatte alla bisogna da funzionari e dirigenti del Settore Finanziario» dell’Ente, con conseguente elementi costitutivi dell’illecito amministrativo-contabile:

  • rapporto di servizio;
  • danno patrimoniale legato al carattere indebito dei pagamenti;
  • condotte antidoverose, ravvisabili nella posizione di ciascun convenuto (dipendente pubblico dell’Amministrazione danneggiata);
  • nesso di causalità rinvenibile tra queste ultime (liquidazioni per prestazioni inventate) e l’evento dannoso (la liquidazione);
  • connotazione dolosa dell’elemento soggettivo dell’illecito (consapevolezza e volontà, con adesione all’accordo criminoso, ovvero del movente egoistico del profitto perseguito);
  • condotta dell’istituto bancario gravemente colposa (legata alla PA da un rapporto di servizio, ossia dall’esistenza di una relazione funzionale che implichi la partecipazione del soggetto alla gestione di risorse pubbliche e il suo conseguente assoggettamento ai vincoli e agli obblighi volti ad assicurare la corretta gestione di tali beni)[1], nella sua veste di “agente contabile”, soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti[2].

Eccezioni preliminari

Viene da principio:

  • inquadrato l’oggetto del pregiudizio erariale, di oltre sei milioni di euro, cagionato all’ente territoriale «mediante la predisposizione di trentasei mandati di pagamento per crediti inesistenti, asseritamente confezionati dai dipendenti … nel periodo … ed eseguiti da compiacenti impiegati dell’Istituto bancario titolare della concessione del servizio di tesoreria»;
  • dichiarata l’infondatezza dell’eccezione del doppio giudizio (violazione del principio del ne bis in idem), atteso che la costituzione di parte civile operata dall’Amministrazione di appartenenza nel processo penale(avente ad oggetto l’accertamento del danno derivante dal reato, con funzione essenzialmente riparatoria e integralmente compensativa, finalizzata al conseguimento del pieno ristoro a protezione dell’interesse particolare facente capo alla singola Amministrazione) non è preclusiva della autonoma valutazione dello stesso fatto da parte del Giudice contabile (avente ad oggetto l’accertamento dell’inosservanza dei doveri inerenti al rapporto di servizio, con funzione di tutela dell’interesse generale al buon andamento della PA ed al corretto impiego delle risorse pubbliche, ex 97 Cost.), sia nell’accertamento, sia nella quantificazione del danno arrecato, stante la autonomia dei due giudizi[3];
  • appurata la mancata prescrizione visto che, in ipotesi di danno erariale cagionato da un fatto penalmente rilevante, il dies a quo coincide con l’esercizio dell’azione penale e, dunque, con la richiesta di rinvio a giudizio; con essa sorge l’obbligo di comunicazione dell’eventus damni al PM contabile, ai sensi dell’art. 129 disp. atto c.p.p.[4], osservando che, nella fattispecie, si verte in un caso di occultamento doloso del danno, direttamente connesso ad una condotta illecita, quale quella contestata ai convenuti[5], oltre al fatto che le condotte produttive del danno configurano anche reati, dove la prescrizione non possa decorrere prima che venga esercitata l’azione penale[6].

Merito

Gli effetti causativi dell’indebito pagamento di ingenti somme di denaro pubblico si allineano con i precedenti («il tratteggiato quadro delittuoso si pone in sostanziale continuità rispetto ad un pregresso procedimento penale») e, dall’apporto probatorio, anche in sede penale, oltre che da quanto acquisito in sede attorea, la richiesta della Procura erariale risulta fondata: i mandati di pagamento (affetti da macroscopica illeceità, privi di ogni riscontro con le disposizioni degli artt. 182 ss. del d.lgs. n. 267/2000, formati atti ex novo per documentare le “operazione” di attività mai avvenute) sono da «ritenersi radicalmente indebiti nonché privi dei necessari presupposti fattuali, facendo riferimento a causali giustificative solo formalmente inerenti a corrispettivi per l’esecuzione di lavori pubblici, in realtà del tutto inesistenti e artefatte alla bisogna da funzionari e dirigenti del Settore Finanziario dell’ente» con l’oggettiva sussistenza dell’illecito esborso (danno patrimoniale).

Sussiste il “nesso eziologico” e l’“elemento soggettivo” dell’illecito amministrativo-contabile, dove i convenuti, in qualità di dirigenti e funzionari della PA danneggiata, emisero sine titulo (ossia, senza sottostanti obbligazioni e senza il rispetto delle procedure interne) i relativi mandati di pagamento, con operazioni al di fuori di ogni regola/verifica/controllo, a favore di soggetti imprenditoriali consapevoli, pagati dal Tesoriere, pur in presenza di irregolarità ampiamente riscontrabili (omettendo, ad esempio i controlli antiriciclaggio, «in smaccata violazione di concorrenti e peculiari obblighi di servizio previsti a carico dell’istituto tesoriere dalla pertinente disciplina contrattuale»), riferiti a beneficiari diversi rispetto ai destinatari: fatti passati indenni (non confutati) nel giudizio penale.

Si comprende che il titolo soggettivo dell’illecito è provato dai fatti materiali e finalistici delle condotte (tutte dolose) poste in essere: ciascuno dei soggetti convenuti hanno contribuito, per la propria sfera di competenza, a individuare risorse finanziarie disponibili e a renderne possibile l’indebita liquidazione (nelle fasi di emissione, autorizzazione e pagamento dei relativi mandati di pagamento), dando luogo a patenti violazioni delle regole sostanziali e procedurali applicabili, tanto da rivelare la piena consapevolezza del carattere indebito degli esborsi (aspetti ben delineati e acclarati nei giudicati penali).

Il danno corrispondente viene ripartito in relazione all’apporto individuale (responsabilità) dei convenuti, in via solidale con l’istituto bancario, stante il titolo soggettivo doloso dell’addebito.

Osservazioni

La sentenza conferma l’esigenza di presidiare alcuni procedimenti amministrativi, verificando costantemente e a campione, le operazioni di liquidazione, appurando nel concreto le causali (le c.d. pezze giustificative), specie nel caso di illeciti già verificatesi all’interno di una stessa Amministrazione, che esigerebbe un rafforzamento dei controlli, associato alla rotazione del personale preposto, sia di coloro che istruiscono gli atti, che di coloro deputati alla sottoscrizione, inserendo controlli incrociati.

Tuttavia, anche adottando misure di prevenzione della corruzione e della trasparenza, è sempre possibile incontrare modalità di illecito nuove (tali forme di alterazione dei mandati sono, tuttavia, un evergreen), forme di elusione dei controlli per arricchirsi indebitamente, depauperando le risorse pubbliche, utilizzando i moderni trolley, più capienti rispetto alle vecchie valigette di Mani pulite, serve, dunque, una maggiore iniezione di “cultura valoriale” o “cultura dell’integrità”, quella promozione del c.d. minimo etico, capace di istillarsi (una sorgente di luce) autonomamente nelle coscienze di coloro che esercitano una funzione pubblica (ex art. 54, secondo comma Cost.)[7].

Un mondo completamente dedicato al benessere individuale ad ogni costo, ad un modello di sviluppo globale (in parte, fondato sugli armamenti e sui vaccini), dove ogni crisi è fonte di guadagno per alcuni (i fautori stessi della crisi), dove la politica e le leggi portano all’astensione, inclusivo di ogni diversità fermandosi solo all’apparenza (manifesto decadente della cancel culture), perde quello in cui credere: l’onestà (memento homo).

Note

[1] La responsabilità amministrativa per danno erariale postula una relazione funzionale con l’Amministrazione pubblica che non implica necessariamente un rapporto di impiego in senso proprio, essendo sufficiente la compartecipazione del soggetto all’attività della PA ed essendo altresì irrilevante che tale soggetto sia una persona fisica o una persona giuridica, pubblica o privata, e senza che rilevi né la natura giuridica dell’atto di investitura (provvedimento, convenzione, contratto o di fatto), Cass. civ., SS.UU., 12 aprile 2012, n. 5756.

[2] Cfr. Corte conti, sez. giur. Lombardia, sentenza n. 40/2022, dove si riferisce che il tesoriere è soggetto espressamente dalla legge alla giurisdizione della Corte dei conti, così come tutti coloro che a qualsiasi titolo siano incaricati di riscuotere le entrate dell’ente e di versarne le somme nelle casse della PA., ex art. 74 del R.D. n. 2440/1923; artt. 178, 192, terzo comma, 194, quarto comma del R.D. n. 827/1924; art. 93, secondo comma del d.lgs. n. 267/2000. Vedi, Cass. civ., SS.UU, 20 novembre 2020, n. 26499; 20 ottobre 2020, n. 22810; 18 giugno 2018, n.16014; 24 dicembre 2018, n. 33362; 16 novembre 2016, n. 23302; 7 maggio 2003, n. 6956.

[3] Cfr. Corte conti, sez. II Appello, sentenza n. 134/2020; sez. III Appello, sentenza n. 547/2017; Corte Cost., sentenza n. 272/2007.

[4] Corte conti, sez. III Appello, sentenza n. 46/2024.

[5] Corte conti, sez. I Appello, sentenze n. 293/2011; n. 402/2008; n. 296/2007.

[6] Corte conti, sez. giur. Sardegna, sentenza n. 68/2016.

[7] Cfr. L’antidoto alla corruzione è la cultura, transparency.it/informati/blog/cultura-anticorruzione, ove si annota «in Italia c’è ancora tanto da fare in tema di anticorruzione ed è necessaria una forte etica comune volta all’integrità e alla trasparenza … Sui fenomeni corruttivi abbiamo portato il contributo dell’Indice di Percezione della Corruzione, dove l’Italia si mantiene stabile ma, nonostante le misure anticorruzione in materia di whistleblowing e di appalti pubblici, alcune questioni continuano a incidere negativamente sulla capacità del nostro sistema di prevenzione della corruzione nel settore pubblico: dalle forti carenze normative nella regolamentazione del conflitto di interessi alla mancanza di una disciplina in materia di lobbying – in Italia e in Europa… Ad oggi, infatti, agli eurodeputati è consentito lo svolgimento di attività secondarie, remunerate e non, con pochi controlli da parte del Parlamento europeo che dovrebbe vigilare nel dettaglio le dichiarazioni, richiedere informazioni precise sul reddito e non autorizzare incarichi, di qualsiasi genere, in pieno conflitto di interessi. Basti pensare che un’attività secondaria su otto è svolta per conto di organizzazioni iscritte al registro delle lobby».


Fonte: articolo dell'Avv. Maurizio Lucca, Segretario generale Amministrazioni Locali