BrexitDopo la Brexit, tutti a caccia del nuovo ecosistema europeo delle startup. Resterà Londra? Sarà Berlino? O, a sorpresa, prevarrà un terzo player, Stoccolma? E l’Italia?

 

Sono numerosi i dubbi e gli interrogativi sorti in conseguenza del referendum del 23 giugno che ha decretato l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea,. Tra questi quello relativo alle startup che, come sappiamo, finora avevano a Londra il loro “regno” europeo con 8,2 miliardi di euro di investimenti (dati aggiornati al 2016), 207 miliardi di fatturato e 274 mila startup attive.

 

Nei concitati giorni successivi al referendum qualcuno ha portato in giro per Londra un grande cartello con un accorato appello alle startup: “Keep calm and move to Berlin“, “Mantenete la calma e trasferitevi a Berlino”.

 

La fuga delle startup da Londra, almeno a parole, è iniziata praticamente il giorno successivo al referendum. Davide D’Atri, fondatore di Soundreef, giovane società che si occupa della distribuzione dei proventi dai diritti d’autore nata a proprio a Londra nel 2011, ha prontamente annunciato la decisione di lasciare UK, aggiungendo: “Con molta probabilità la nuova capitale delle startup europee potrebbe diventare Berlino, ma resta il problema della lingua: molti ragazzi che fanno startup hanno dimestichezza con l’inglese, ma quanti di loro parlano tedesco? Anche Parigi potrebbe essere una buona alternativa, ma c’è sempre il problema della lingua: il francese è diffuso ma non quanto l’inglese. Forse Amsterdam: negli ultimi anni la città si è dimostrata un terreno fertile per le startup, inoltre ha dalla sua parte la lingua inglese, potrebbe essere il suo asso nella manica”.

 

Che Berlino sia un potente hub per le startup di tutta Europa non è mai stato un mistero. Oggi nella capitale tedesca ci sono 128 startup ogni 10.000 abitanti, che solamente nel settore digitale hanno generato oltre 8,9 miliardi di euro di fatturato. Secondo Mc Kinsey, l’ecosistema berlinese delle startup potrebbe arrivare a generare fino a 100.000 posti di lavoro nel 2020.

 

Nel report “The Global Startup Ecosystem Ranking 2015” stilato da Compass, graduatoria dei 20 ecosistemi migliori del pianeta in cui fare impresa innovativa, le prime sei città europee che rientrano nelle top 20 sono Londra (6° posto), Berlino (9°), Parigi (11°), Mosca (13°) e Amsterdam (19°).

 

Nel 2015 il capitale di rischio investito ammontava a 2,3 miliardi di dollari rispetto al miliardo circa dell’anno precedente. Una crescita molto più rapida del venture capital di Londra, che infatti è al secondo posto con 1,9 miliardi di dollari investiti nel 2015. Ed ecco che arriva la sorpresa: al terzo posto della classifica c’è Stoccolma, che vanta 1,084 miliardi di dollari investiti in venture capital l’anno scorso, in vertiginosa crescita rispetto ai 371 milioni dell’anno precedente. Seguono Parigi (751 milioni) e Monaco (225 milioni).

 

Quali carte ha in mano la capitale svedese per giocarsi la partita? Non poche: è la patria di Spotify, Candy Crush e Skype. Il suo governo ha lanciato ormai da diversi anni una programmazione di investimenti nel digitale e nelle nuove tecnologie con l’obiettivo di fare del Paese un banco di prova dell’innovazione. Ha adottato un approccio internazionale. La formazione universitaria è totalmente gratuita e non si pagano le tasse universitarie. Vero è che lo scorso aprile Daniel Ek e Martin Lorentzon, co-fondatori di Spotify, hanno pubblicato una lettera aperta su Medium sollecitando le startup svedesi ad alzare i toni della protesta contro il governo per chiedere di attuare policy più favorevoli alle startup. In particolare l’ecosistema vorrebbe revisione e miglioramento del sistema fiscale, scolastico e abitativo a favore delle giovani imprese. Spotify ha minacciato di lasciare il Paese, se non verrà data risposta alle sue richieste. Ma anche la protesta può essere segno di vitalità e fermento.