Avance, abuso di potere, molestia e violenza sessuale, siamo sicuri di conoscerne le differenze?
L’agenzia Dire ne delinea i confini mettendo a confronto le risposte di due esperti: Vincenzo Mastronardi, psichiatra forense, criminologo clinico e professore dell’Università di Roma la Sapienza, e Irene Petruccelli, docente di Psicologia giuridica e sociale dell’Università Kore di Enna e direttrice dell’Accademia di Psicologia sociale e giuridica di Roma.
“Dal punto di vista culturale nel nostro paese, come in altri, è diffusa la credenza che se una donna dice di no, vorrebbe in realtà dire di sì. Si crede che il suo ‘no’ derivi dal senso di vergogna, da motivi culturali ed educativi per i quali dovrebbe farsi vedere ritrosa. Ecco allora- afferma subito Petruccelli- che alcuni uomini finiscono per insistere, sperando che prima o poi la donna possa cedere. In questo contesto culturale, il legislatore prevede la possibilità di perseguire ogni tipo di atto sessuale contro minorenni o contro la volontà (senza il consenso) delle vittime, mantenendo ampia la categoria di ‘atti sessuali’, che vanno dalla carezza capziosa allo stupro. Al centro di tutto c’è la questione del consenso”.
Mastronardi consiglia invece di “non dimenticare che il 15% delle violenze domestiche sono subite da uomini (ONU 2006) e che nell’ambito della violenza non esiste solo quella sessuale, che comunque riguarda il 72% dei casi, ma anche quella fisica (spinta, strattonamento, braccia contorte, presa per i capelli 58%, schiaffi, calci, pugni, morsi 21%, colpire con oggetti o tirare qualcosa 23,6% ecc.), psicologica ed economica (e solo il 7% dei casi viene denunciato)”.
Abuso/Abuso di potere
“L’Abuso si verifica ogni volta che manca il consenso – sottolinea Petruccelli-e l’abuso di potere scatta se c’è un gap di potere tra l’autore (l’insegnante, il datore di lavoro, l’istruttore sportivo, il catechista, il poliziotto, ecc.) e la vittima. Si verifica se l’autore esercita un abuso del suo potere e lo utilizzo come aggravante della sua azione abusante. Utilizza quindi il potere per estorcere il consenso della vittima”.
In questo ambito Mastronardi fa rientrare anche “il costringimento mediante abuso di autorità, che è un’ulteriore modalità costrittiva del delitto di violenza sessuale in base all’art.609-bis. La ratio dell’incriminazione- afferma il criminologo- è quella di contrastare particolari forme di prevaricazione sessuale che non si estrinsecano in condotte violente e minacciose, ma si manifestano nella strumentalizzazione di una posizione di supremazia”.
Violenza
Si arriva alla violenza “quando si verifica l’aggressione- continua la professoressa di Psicologia giuridica e sociale- che se è a sfondo sessuale diventa violenza sessuale”. La giurisprudenza ha chiarito, aggiunge il criminologo forense, che “ai fini dell’integrazione dell’elemento oggettivo del reato, il legislatore ha previsto due condotte alternative attraverso le quali compiere gli atti sessuali: la costrizione (realizzata con violenza, con minaccia e mediante abuso di autorità) e l’induzione (un’opera di persuasione anche mediante inganno). È configurabile, ad esempio, il delitto di violenza sessuale quando:
Il soggetto attivo, al fine di soddisfare il proprio piacere sessuale, convinca con un escamotage la persona offesa della necessità di spogliarsi e compiere atti di autoerotismo;
Il toccamento dei glutei di una donna contra la sua volontà;
Afferrare per le braccia e attirare a sé una donna dissenziente cercando di baciarla sulla bocca;
Il bacio a labbra chiuse: tale connotazione può essere esclusa solo in presenza di determinati contesti sociali, culturali o familiari- chiosa il professore della Sapienza- nei quali l’atto risulti privo di valenza erotica”.
Non possono, invece, “essere inclusi in tale nozione quei comportamenti quali un gesto di esibizionismo sessuale o un atto di autoerotismo compiuto davanti a terzi che- fa sapere Mastronardi- pur essendo manifestazione di istinto sessuale, non coinvolgono la corporeità del soggetto passivo”.
Molestia
Entrambi gli studiosi precisano che “nella molestia non c’è un’aggressività fisica, ma comportamentale”. Lo stalking ad esempio è un’azione molesta.
“È un perseguitare la persona in vario modo, tramite messaggi, telefonate anonime, e-mail, vandalizzazioni, violazioni di domicilio, spiare, sorveglianza ossessiva della propria abitazione o sul lavoro o il farsi trovare sotto casa, mandare continuamente fiori e regali. È un’azione reiterata di un comportamento non desiderato da parte dell’altro- spiega Petruccelli- che non si rende conto del ‘no’ espresso dalla persona che ha davanti”.
Gli autori di molestie “possono arrivare anche a giocare sul fatto che non capiscono e mettono in atto una strategia di disimpegno orale. Il filo conduttore tra il molestatore e lo stupratore è sempre la gestione del potere e del controllo- sottolinea la psicologa giuridica- per questo motivo c’è anche l’abuso di potere in tutte queste faccende”.
Avance e complimento
“Anche in questo ambito esistono una serie di costruzioni cultural e religiose che hanno un impatto da un punto di vista antropologico e sociale. Quindi- continua Petruccelli- in una situazione di flirt possiamo considerare il complimento come una cosa carina, che diventa poi un’avance dal punto relazionale se sono una persona libera e disponibile. Se invece non lo sono- puntualizza l’esperta- allora può tradursi in molestia. Ritorna la questione del consenso, della reciprocità e della parità di livello e grado tra i due soggetti. La parola scurrile detta per strada solo per colpire la mia attenzione rientra nelle molestie”.
Il tentativo
Mastronardi ricorda che “con l’introduzione di un’unica fattispecie per la violenza carnale e gli atti di libidine violenti, l’interpretazione giurisprudenziale ha elaborato il principio generale secondo cui il tentativo di violenza sessuale ricorre tutte le volte in cui, pur se l’atto abbia raggiunto una zona non erogena, sia avvenuto in conseguenza della decisa opposizione o reazione della vittima. Un esempio è il bacio indirizzato alla bocca ma dato sulla guancia a causa della pronta reazione della vittima. Si presenta dunque il tentativo di violenza anche quando vi sia stato soltanto un ‘contatto superficiale o fugace’ che, per la tempestiva reazione della vittima o per altre ragioni indipendenti dalla volontà del soggetto attivo, non abbia attinto una zona erogena o considerata tale dal medesimo. Dunque per esempio risponde al tentativo di violenza sessuale tentata il soggetto che, nel tentativo di slacciare il reggiseno della vittima, per la pronta reazione di quest’ultima, riesca soltanto a toccarle le spalle”.