In una recente ricerca curata dalla fondazione Openpolis emergono dati preoccupanti: i comuni non investono abbastanza sul diritto alla casa dei propri cittadini.
I comuni contribuiscono sì alla gestione del sistema dell’edilizia abitativa pubblica, oltre a garantire dei sussidi per i pagamenti sulle case di proprietà: ma, mediamente, spendono ancora troppo poco.
Negli ultimi mesi il tema del diritto alla casa è stato centrale all’interno del dibattito, anche grazie alle proteste degli studenti universitari sul caro affitti nelle grandi città.
Si tratta di una condizione che grava sulle spalle delle fasce di popolazione più fragili e mina la loro possibilità di avere a disposizione adeguati spazi abitativi a prezzi non eccessivi. Nonostante i comuni non abbiano una diretta competenza sugli alloggi studenteschi, possono contribuire a garantire il diritto all’abitare della comunità nel suo complesso, soprattutto ai gruppi più economicamente deboli, attraverso uscite che vengono contabilizzate all’interno dei bilanci.
Dai dati ISTAT disponibili risulta che la maggior parte delle famiglie nel nostro paese vive in un’abitazione di proprietà. Nel 2021 il 70,8% risulta residente in un’abitazione di proprietà. Il 12,8% sostiene un mutuo. Circa 2,2 milioni di nuclei sono stati registrati in situazioni di usufrutto oppure di titolo gratuito.
L’affitto rimane comunque il contratto abitativo più diffuso tra le famiglie meno abbienti: tra i più poveri, la percentuale dei nuclei familiari in affitto è pari al 31,8%, valore che scende all’11,3% tra i più benestanti.
In un contesto complesso, in cui le famiglie più indigenti e quelle monoreddito fanno più fatica a sostenere il peso economico di un mutuo o di un affitto, sono cruciali adeguate politiche abitative. I comuni gestiscono questo ambito sotto le direzioni definite dallo stato centrale.
I Comuni investono troppo poco nel “diritto alla casa”
Nella missione di spesa dedicata ai diritti e alle politiche sociali, c’è una voce specifica per gli interventi per il diritto alla casa. Si includono qui gli aiuti per le famiglie per il pagamento di ipoteche o di interessi sulle case di proprietà. Sono comprese anche le uscite legate all’assegnazione degli alloggi economici e popolari.
Non sono considerate le spese per la progettazione, la costruzione e il mantenimento di suddetti alloggi. Queste operazioni infatti sono comprese nella missione dedicata all’assetto del territorio e all’edilizia abitativa pubblica.
Per quel che riguarda il diritto all’abitare, le tre città che spendono di più si trovano nelle zone del centro-nord del paese: Genova (58,26 euro a persona), Bologna (33,31) e Firenze (15,14). Uscite minori invece a Trieste (1,40), Catania (0,84) e Messina (0,74). A Napoli non si registrano spese per la voce considerata. Tuttavia, spese maggiori o minori non definiscono giudizi di valore su come viene trattata una materia. Inoltre, spesso i comuni non inseriscono le spese relative a un determinato ambito nella voce dedicata.
Si alternano città che riportano andamenti più regolari (come Roma) a quelle con particolari incrementi di spesa negli ultimi anni considerati. Il più evidente è quello della città di Genova, che passa da 10,27 euro a persona registrati nel 2019 a 58,26 nel 2021. Aumenti anche a Bologna, tra 1,90 del 2019 e 33,31 del 2021, e Bari che rispetto ai due anni precedenti spende circa 15 euro pro capite in più.
Mediamente, si tratta di una voce che registra una spesa piuttosto bassa: i comuni italiani riportano uscite pari a 1,28 euro pro capite. A spendere di più sono le amministrazioni della Toscana (4,31), del Friuli-Venezia Giulia (2,46) e della Liguria (2,34). Uscite minori invece nei comuni trentini (0,15), siciliani (0,04) e altoatesini, che non riportano in media delle spese significative.
Fonte: Openpolis