Contratti, licenziamenti, flessibilità, conciliazione, ammortizzatori sociali, controlli: sono i punti chiave della nuova legislazione del lavoro italiana su cui è intervenuto il Jobs Act, ovvero la Riforma del Lavoro 2015. I primi dati sul suo impatto ci sono già (più assunzioni a tempo indeterminato e meno collaborazioni) ma per valutare gli effetti strutturali ci vorrà tempo. Nel frattempo, ecco un vademecum in dieci punti che sintetizzano le principali novità introdotte.
1. Assunzioni e licenziamenti
Aziende sopra i 15 dipendenti: il decreto 23/2015 introduce il nuovo contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, che si applica a tutte le assunzioni dal 7 marzo 2015 (comprese le trasformazioni dal tempo determinato o apprendistato). La differenza con l’indeterminato tradizionale, che resta in vigore per le assunzioni precedenti, è la maggior flessibilità in tema di licenziamento: i lavoratori possono essere licenziati per motivi sia economici (giustificato motivo oggettivo, che tendenzialmente significa ristrutturazione aziendale), sia disciplinari (giusta causa e giustificato motivo soggettivo, ossia per colpa del lavoratore). Se il giudice stabilisce che il licenziamento è illegittimo è previsto unrisarcimento pari a 2 mensilità per ogni anno di lavoro, con un minimo di 4 e un massimo di 24 mensilità. Il reintegro nel posto di lavoro resta in tutti i casi di licenziamento discriminatorio e in alcuni casi di licenziamento per motivi disciplinari.
2. Reintegro o risarcimento
Aziende sopra i 15 dipendenti: restano intatte le regole sul licenziamento per gli assunti prima del 7 marzo, con reintegro tranne che nei licenziamenti illegittimi per giustificato motivo oggettivo, per i quali può scattare il reintegro (ad esempio, se il giudice ritiene che il licenziamento sia disciplinare) o solo l’indennità risarcitoria (ad esempio, se l’illegittimità è determinata da carenza di motivazione), fra 6 e 12 mensilità. Se un dipendente con vecchio indeterminato cambia lavoro passando da un’azienda all’altra, verrà assunto con il nuovo contratto a tutele crescenti, con l’applicazione del nuovo articolo 18.
Reintegro: è disposto dal giudice se stabilisce che il licenziamento è discriminatorio, nullo o intimato in forma orale, o se viene provata l’insussistenza del fatto contestato. Questo è uno dei capitoli più discussi della riforma, anche perché ora il giudice non entra più nel merito (proporzionalità della sanzione rispetto all’inadempimento) ma stabilisce solo se il fatto sussiste. E’ quindi teoricamente possibile licenziare per motivi non gravi, tuttavia resta in vigore la legge 183/2010 (articolo 30, comma 3) in base alla quale:
«nel valutare le motivazioni poste a base del licenziamento, il giudice tiene conto delle tipizzazioni di giusta causa e di giustificato motivo presenti nei contratti collettivi di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi ovvero nei contratti individuali di lavoro ove stipulati con l’assistenza e la consulenza delle commissioni di certificazione».
Significa possibilità di reintegro, grazie ai margini di interpretazione lasciati aperti dalla normativa.
Aziende sotto i 15 dipendenti: prima della riforma, quando l’impresa superava la soglia applicava automaticamente l’articolo 18 (reintegro in caso di licenziamento illegittimo); ora, se risulta superata dopo il 7 marzo 2015 (quindi con un’assunzione a tutele crescenti), non si estende a tutti tale tutela ma si applicano invece quelle crescenti (più stringenti). Se la soglia non si supera, in caso di licenziamento illegittimo scatta il risarcimento pari a 1 mensilità per ogni anno di lavoro, con un minimo di 2 e un massimo di 6 mensilità.
3. Conciliazione e accordi
Un’altra novità del decreto 23/2015 (articolo 6) riguarda la conciliazione: il datore di lavoro che licenzia può patteggiare con il dipendente per evitare una possibile causa, offrendo un risarcimento pari a 1 mensilità per ogni anno di servizio (minimo 2 massimo 18) che non costituisce reddito imponibile IRPEF e non soggetto a contribuzione previdenziale. Se il lavoratore accetta, rinuncia alla possibilità di impugnare il licenziamento.
4. Riordino contratti
Il decreto 81/2015 prevede l’abolizione delle collaborazioni coordinate e continuative dal 2016, da trasformarsi in tempo indeterminato. Eccezioni: specificità previste dai contratti collettivi, collaborazioni nell’esercizio di professioni ordinistiche, consiglieri di amministrazione, sindaci e componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società, collaborazioni istituzionali in favore di società sportive dilettantistiche. Sanatoria per i datori di lavoro che regolarizzano questi contratti nel 2015: estinzione di tutte le violazioni contributive, assicurative e fiscali connesse all’eventuale erronea qualificazione del rapporto di lavoro.
Spariscono anche associazione in partecipazione e job sharing. Modifiche al lavoro accessorio, con innalzamento del tetto a 7mila euro. Si confermano le modifiche 2014 del decreto Poletti per contratti a termine (rinnovabili per 3 anni senza causale) e apprendistato (durata minima 6 mesi, regole fisse sulla formazione), che quando termina consente il recesso o la trasformare in indeterminato, mantenendo le tipologie previste (qualifica, diploma e specializzazione professionale; professionalizzante; alta formazione e ricerca).
5. Part-time
Per il tempo parziale vengono stabilite clausole più elastiche (decreto 81/2015): il lavoro supplementare in caso di part-time orizzontale(riduzione orario giornaliero) è consentito solo fino al 15% dell’orario settimanale pattuito (o eventuali altri paletti previsti dai contratti nazionali). Lo straordinario nel part-timeverticale (riduzione settimanale o mensile) o misto è consentito fino al 25% dell’orario. In entrambi i casi, la retribuzione è maggiorata del 15%. Il part-time può essere chiesto al posto del congedo parentale per l’intera durata dello stesso (6 mesi per ogni genitore per un massimo di 10 o 11 mesi in tutto). La riduzione di orario non può essere superiore al 50%.
6. Demansionamento
Il decreto 81/2015 permette di portare il lavoratore alle mansioni del livello immediatamente inferiore – mantenendo inquadramento e retribuzione – per modifica di assetti aziendali con effetto diretto, per ipotesi previste dai contratti collettivi o a seguito di accordi individuali con specifica procedura (il lavoratore può farsi assistere da un sindacato, avvocato o consulente del lavoro) e motivazione (conservazione occupazione, acquisizione diversa professionalità, miglioramento condizioni di vita). Può essere il dipendente a chiedere l’accordo di demansionamento, ad esempio per esigenze di conciliazione vita-lavoro.
7. Conciliazione vita lavoro
Il decreto 80/2015 rende più flessibile il lavoro per esigenze familiari e genitorialità: congedo parentale fino ai 12 anni di vita del figlio e retribuzione (al 30%) entro i primi 6 anni; esteso a tutti il congedo parentale a ore; maternità, in caso di nascita prematura, anche per i giorni non goduti oltre i 5 mesi canonici e sospensione nei primi 3 mesi in caso di ricovero del neonato; indennità anche se interviene licenziamento per giusta causa e per le autonome iscritte all’INPS senza contributi aziendali; paternità al posto della madre anche per gli autonomi; congedo fino a 3 mesi per donne vittima di violenza di genere che seguono percorsi di protezione; telelavoro per esigenze di conciliazione vita lavoro.
8. Ammortizzatori sociali
Il decreto 22/2015 riforma gli ammortizzatori sociali.
- NASpI, nuova assicurazione sociale per l’impiego al posto dell’ASpI, con nuovi requistidi accesso al sussidio (almeno 13 settimane di contribuzione nei 4 anni precedenti la risoluzione del rapporto di lavoro), importo (75% della retribuzione se inferiore a 1.195 euro, per quelle superiori bisogna aggiungere il 25% della differenza; riduzione progressiva del 3% ogni mese successivo al terzo; tetto massimo 1.300 euro al mese) e durata (24 mesi oppure la metà delle settimane di contribuzione degli ultimi 4 anni). Il disoccupato deve partecipare a percorsi di ricollocazione e può chiedere l’intero sussidio in un’unica soluzione per intraprendere un’attività autonoma.
- ASDI: ulteriore assegno di disoccupazione per lavoratori che hanno terminato la NASpI e sono in particolari condizioni di necessità, prioritariamente riservato ai nuclei familiari con minorenni o se vicini alla pensione.
- DIS-COLL; sussidio di disoccupazione per collaboratori coordinati e continuativi che perdono il lavoro nel 2015 con almeno 3 mesi di contributi dal gennaio dell’anno solare precedente la disoccupazione alla data di cessazione dal lavoro, e nell’anno in cui si verifica la disoccupazione almeno un mese di contributi o un rapporto di collaborazione di almeno un mese con un reddito pari almeno alla metà dell’importo per l’accredito di un mese di contribuzione. Durata massima: 6 mesi. L’importo si calcola nello stesso modo dell’ASpI.
9. Assegno di ricollocazione
Riforma del sistema delle Politiche Attive con un decreto ad hoc, la creazione dell’Agenzia ANPAL, misure per facilitare l’incontro fra domanda e offerta di lavoro e nuovo assegno di ricollocazione, voucher incassato dall’Agenzia per il Lavoro nel momento in cui il disoccupato trova occupazione (per disoccupati da almeno 6 mesi e importo legato alla profilazione del lavoratore). Prevista la partecipazione a iniziative di carattere formativo o di riqualificazione.
10. Controllo a distanza
Meno rigide le limitazioni all’uso di telecamere per esigenze organizzative o di sicurezza e previo accordo sindacale e nessun paletto al controllo di computer e smartphone usati sul lavoro, purché siano rispettate le direttive sulla privacy (non si può controllare sistematicamente l’email di un dipendente o installare software di gelocalizzaizone a sua insaputa) e il dipendente sia adeguatamente informato. Senza esigenze reali di organizzazione aziendale, valgono i limiti previsti per telecamere e strumenti di controllo (accordo sindacale).