autoimprenditorialitaAudizione nelle Commissioni Bilancio di Camera e Senato per Rete Imprese Italia: “sia eventuali tagli all’Ires che la prospettata riforma della contrattazione interessano essenzialmente imprese di più ampie dimensioni, aventi come forma giuridica quella di società di capitali”.

 

Sugli interventi a favore dei lavoratori indipendenti e delle imprese micro, piccole e medie, “le politiche governative continuano a sembrare carenti: sia eventuali tagli all’Ires che la prospettata riforma della contrattazione, per citare due obiettivi tra i più importanti, interessano essenzialmente imprese di più ampie dimensioni, aventi come forma giuridica quella di società di capitali”. Lo ha affermato Rete imprese Italia, ascoltata sul Def in audizione dalle Commissioni Bilancio di Camera e Senato. Nel Def, afferma il soggetto unitario di rappresentanza delle pmi e dell’impresa diffusa, “è scarsamente individuata un’azione a favore delle micro imprese e delle pmi, dei Confidi e del credito.

 

La sottovalutazione è particolarmente grave in virtù del peso che questa tipologia di imprese riveste nel contesto produttivo del nostro Paese (98,3% delle imprese; 58% dell’occupazione), che viene contraddetta dalla bassa quota di prestiti bancari di cui sono destinatarie (19,6%). Prevedere uno speciale incentivo tendente ad aumentare significativamente il volume del credito bancario a loro beneficio costituirebbe, in primo luogo, un intervento di riequilibrio macroeconomico”.

 

Il Programma Nazionale di Riforma, che è parte integrante del DEF, contiene indicazioni su come il Governo intende procedere nei prossimi mesi. Il Programma riprende le linee-guida di quello dello scorso anno ed è articolato in tre direttrici fondamentali lungo le quali dovrebbe muoversi l’azione riformatrice:

 

a) interventi per l’innalzamento della produttività mediante la valorizzazione del capitale umano;

 

b) la diminuzione dei costi indiretti per le imprese connessi agli adempimenti burocratici e all’attività della Pubblica Amministrazione, mediante la semplificazione e la maggiore trasparenza delle burocrazie;

 

c) la riduzione dei margini di incertezza dell’assetto giuridico per alcuni settori, sia dal punto di vista della disciplina generale, sia dal punto di vista degli strumenti che ne assicurano l’efficacia.

 

Nel DEF è scarsamente individuata un’azione a favore delle MPMI, dei Confidi e del credito. La sottovalutazione è particolarmente grave in virtù del peso che questa tipologia di imprese riveste nel contesto produttivo del nostro Paese (98,3% delle imprese; 58% dell’occupazione; 40,9% del v.a. realizzato), che viene contraddetta dalla bassa quota di prestiti bancari di cui sono destinatarie (19,6%). Prevedere uno speciale incentivo tendente ad aumentare significativamente il volume del credito bancario a loro beneficio costituirebbe, in primo luogo, un intervento di riequilibrio macroeconomico, coerente con i principi del DEF, che riconosce il gap nell’andamento dei prestiti tra le imprese con 20 addetti e oltre a quelle di minor dimensione (0,70 – 2,1 % rispettivamente).

 

La crisi ha comunque intensificato la più generale contrazione del credito al settore privato, peggiorando la dinamica dei prestiti sia per tutto il 2014 che per il 2015. Prosegue la contrazione dei prestiti alle imprese che, comunque, denotano ancora una spiccata tendenza alla dipendenza dal credito bancario. Il riequilibrio della struttura finanziaria delle PMI italiane richiederebbe, per incontrare la media europea, la conversione in patrimonio di 30-50 mld di Euro di debito in 5 anni La crisi dell’economia reale, peraltro, si è riflessa in misura significativa sulla qualità degli impieghi.

 

Le banche hanno reagito al contesto di crisi concentrando l’erogazione di credito sulle imprese migliori, ovvero verso imprese performanti che risultano sufficientemente capitalizzate e senza reali tensioni di liquidità a breve termine. Per quanto attiene nello specifico agli interventi per il rafforzamento patrimoniale delle MPMI, sembrerebbe invece opportuno perseguire la strada della fiscalità di vantaggio che, storicamente, è l’unica che ha garantito un certo fattore di successo e che meglio si attaglia alle caratteristiche delle nostre imprese.