dad-digital-alzheimer-divideLa scuola ha perso la memoria, come se fosse stata colpita dal morbo di Alzheimer, quel morbo che provoca un lento declino delle capacità di memoria, del pensare e di ragionamento. Forse bisogna chiamare uno specialista!

Si, credo che la scuola abbia proprio i sintomi del morbo di Alzheimer, infatti ha perso la memoria, non ricorda più qual è il suo ruolo principale e ha sempre maggiore bisogno di contare su strumenti di ausilio (dispositivi elettronici e piattaforme DAD) o contare sui membri della famiglia dell’alunno per cose che si era soliti gestire in proprio.

DAD: Digital Alzheimer Divide

Proprio come i malati di Alzheimer, la scuola non riesce a trovare soluzione ai problemi, ha difficoltà a completare i programmi, confonde tempi e luoghi, ha difficoltà con i rapporti spaziali, non trova più le parole giuste, ha ridotta capacità di giudizio e ha scarsa capacità nei rapporti sociali. Come chi è affetto dal morbo, ha dimenticato il motivo per cui è nata e ha perso anche il riferimento alla meta.

Vaga smarrita per una strada, con una forma di sciatteria depressiva, facendo un torto al presente e un sabotaggio del futuro, pratica-mente un attentato in piena regola, perché distruggere una parte di società, che non riuscirà a costruirsi, non considerando che sarà molto più costoso un giorno riparare il danno, se mai qualcuno tenterà di farlo.

La scuola ha dimenticato già da qualche anno, di avere avuto inizialmente il mandato di creare uomini, di trasformare sudditi in cittadini, a fornire gli strumenti per gestire un sentimento e ammirare un tramonto. Adesso ha raggiunto il top, trasformando le differenze in disuguaglianze, amplificandole.

Diseguaglianze che sono diventate uno stato di fatto, supportate da decreti, circolari e atteggiamenti, che, come una tela di ragno non riescono a fermare i calabroni, che la bucano senza intoppi, ma impigliano sicuramente i moscerini.

Proprio la scuola è diventata artefice di un’ingiustizia sociale, che è diventata così familiare da venire accettata in modo naturale anche dalle vittime, che magari confrontano il proprio standard solo con i vicini di casa, perché anche loro hanno perso col tempo i riferimenti.

La scuola, quella dell’istruzione gratuita e obbligatoria, che dovrebbe convertire l’enunciazione di un diritto di uguaglianza in un fatto, riesce con i suoi pregiudizi, i suoi comportamenti, le sue politiche, a trasformare le differenze in disuguaglianze e nello stesso tempo a creare una omologazione tra disuguali. Un vero triplo salto mortale con avvitamento.

Il ruolo dei maestri

Dove sono andati a finire i maestri?

Quelli che ti prendevano per mano e ti aprivano mente e cuore, quelli che ispiravano e non pensavano solo di riempire le teste di nozioni, con lezioni quasi autoreferenziali, di maestri che si possono chiamare tali solo se li incontri fra le pareti della scuola o quando mostrano le loro facce sulle famose piattaforme della DAD.

Maestri sicuramente sostituibili, ampliando le piattaforme DAD con i nuovi sistemi di intelligenza artificiale, visto che si tratta ormai sempre delle stesse lezioni con un vuoto pneumatico da poterli far fare anche ad un robot.

Quindi i problemi atavici che aveva la scuola, invece di essere risolti, sono anche peggiorati, a conferma della mancanza di problem solving classico del morbo di Alzheimer, pertanto se c’erano problemi caratteriali o di timidezza di qualche bambino, lo abbiamo incoraggiato a nascondersi dietro una tastiera e non a spronarlo al confronto, ad avere il coraggio di far valere le proprie idee e quindi vincere la propria timidezza, gestendo il confronto.

La maggior parte degli insegnanti erano già neutri, a parte qualche caso eccezionale, ma resta il problema della mancanza dei compagni, che invece non sono affatto neutri.

Il fatto di non potersi confrontare ed attuando di fatto non un “distanziamento interpersonale” per il problema virus, ma un vero “distanziamento sociale”, proprio per come viene effettivamente chiamato dal grande CTS e da tutti i suoi derivati governativi, adesso siamo sicuri che i bambini, se prima avevano qualche problema di ego, di narcisismo o timidezza, adesso mancando i confini del confronto, siamo sicuri che avremo in futuro un bel po’ di psicopatici in più in giro, che magari domani diventeranno anche degli insegnanti, rafforzando il circuito perverso.

Qualcuno si è dimenticato che l’istruzione è solo uno degli elementi formativi, tanto che uno scampato ai campi nazisti ebbe a dire che i condannati a morte, erano portati dentro le camere a gas da infermieri ben istruiti, in quelle camere a gas pensate e progettate da ingegneri ben istruiti e monitorati da medici altrettanto ben istruiti, gli mancava soltanto un piccolo dettaglio, l’umanità.

Genitori: i nuovi sindacalisti degli alunni

Aggiungiamo poi l’apporto dei nuovi sindacalisti degli alunni, ossia i genitori, che naturalmente sono diventati il supporto di questa scuola malata di Alzheimer, come tutti quelli che soffrono di questa patologia si affidano ai parenti, più o meno preparati a tale supporto.

Questi genitori diventano i tutor se non del tutto insegnanti, che a secondo della loro cultura e formazione, sicuramente non certificata, amplificano il dramma di questi poveri alunni. Questi poveri bambini o ragazzi che si trovano nel mezzo, tra qualcuno che vuole fare un freddo passaggio di informazioni e i propri genitori che dovrebbero gestire le relazioni umane e intellettuali a corredo.

Quei genitori che magari hanno anche fatto la fame per comprare un PC o un Tablet ai propri figli per potersi istruire, pensando che i figli avessero bisogno di un dispositivo elettronico di 500 euro e non di vere lezioni per 500 euro.

Gli strascichi sui figli

Questi figli che passeranno degli anni ad imparare a leggere e a scrivere, ma che dovranno passare altrettanti anni a cancellare tutto quello che hanno subìto, cercando di tornare ad essere animali sociali, cercando di emanciparsi rispetto agli strumenti utilizzati nell’apprendimento, acquisendo coscienza sui limiti degli strumenti stessi, sempre più connessi ma che lasciano quel senso di solitudine, che dovrà essere colmato, scoprendo quelli che vengono chiamati i soft skill, come il pensiero critico, la creatività, il problem solving, il rispetto, il capire uno sguardo e un non detto, tutte quelle competenze che servono per la vita e che nascono con la socialità e non con il distanziamento sociale, proprio negli anni più critici della formazione delle nuove generazioni in cui dovremmo porre le nostre speranze.

 


Fonte: articolo di Roberto Recordare