“Se le macchine finiranno per produrre tutto quello di cui abbiamo bisogno, il risultato dipenderà da come le cose verranno distribuite. Tutti potranno godere di una vita serena nel tempo libero, se la ricchezza prodotta dalla macchina verrà condivisa, o la maggior parte delle persone si ritroveranno miseramente in povertà se la lobby dei proprietari delle macchine si batteranno contro la redistribuzione della ricchezza. Finora, la tendenza sembra essere verso la seconda opzione, con la tecnologia che sta creando crescente disuguaglianza.”
(Stephen Hawking)
Nel pensiero di Stephen Hawking, fisico di fama internazionale recentemente scomparso, c’è la risposta fondamentale al tema: “il futuro del lavoro”, un’emergenza.
“Se le macchine finiranno per produrre tutto quello di cui abbiamo bisogno, il risultato dipenderà da come le cose verranno distribuite”. … Nel ragionamento di Hawking è implicito che è la “Politica” il terreno sul quale… oggi, nel mondo globalizzato, è possibile decidere la redistribuzione della ricchezza e il futuro benessere dell’Umanità; è necessario sancire un nuovo ordine attraverso l’azione della politica, del governo pubblico degli Stati, delle Unioni di Paesi, di un auspicato livello di governance mondiale.
Oggi più che mai perché in assenza di una sintesi il sistema globale va per conto suo, senza razionalità, spinto dalla rapidità dei processi, tra voli audaci della Scienza e dell’innovazione tecnologica, tra interessi contrapposti di differenti aree geo-politiche, tra elefantiaci apparati pubblico-burocratici, incapaci di conferire rapidità ed efficacia alle decisioni.
In assenza di sintesi politica l’esito è scontato: uno spazio incontrollato a favore della speculazione finanziaria e degli interessi più antisociali, un perenne rischio di destabilizzazione dei sistemi economici, che va a intrecciarsi con l’altro aspetto emergenziale di assoluta attualità: la tenuta dei Sistemi Democratici.
Sullo sfondo dei processi di globalizzazione e della Terza e Quarta Rivoluzione Industriale, i temi della crescita e del lavoro sono dunque all’ordine del giorno in tutto l’Occidente.
Lo è ancora di più nei Paesi economicamente forti ma fragili in termini strutturali, tra i quali in Europa svetta l’Italia, con le sue contraddizioni e i suoi ritardi.
Globalizzazione e Rivoluzioni Industriali
Il primo grande punto di domanda è il seguente: la spinta alla informatizzazione impressa dalla Terza Rivoluzione Industriale (iniziata negli anni ’70), combinata con la spinta che porta a processi produttivi sempre più veloci, ipertecnologici e sistemici, definiti dalla pubblicistica Quarta Rivoluzione (iniziata, direi, fra fine ‘900 e inizio millennio), possono determinare profonda contraddizione fra due aspetti opposti dello stesso fenomeno, cioè da una parte, la qualità innovativa delle tecnologie e della nuova organizzazione del lavoro delle industrie e dei servizi, dall’altra, la progressiva riduzione della base occupazionale, in tutti i comparti dell’Economia?
È di tutta evidenza che la globalizzazione ha aperto una nuova fase della storia economica dell’Umanità, nella quale i Paesi Orientali e quelli Sud Americani, con alti tassi di crescita, hanno portato oltre un miliardo di esseri umani dalla povertà assoluta all’occupazione, più o meno garantita, mentre i Paesi Democratici del Mondo Occidentale, economicamente sviluppati e con bassi tassi di crescita, ne hanno subito i pesanti contraccolpi.
È altresì indubbio che un Occidente che non sappia prendere parte ai mutamenti epocali e che non sappia leggere i nuovi scenari globali e le nuove linee di conflitto, finisca con il subire le nuove forme della competizione e della divisione internazionale del lavoro.
I Paesi Occidentali inoltre sono stati colpiti da altri decisivi e specifici elementi di crisi. Tra questi, e senza pretesa di completezza descrittiva, segnalo quelli che mi sembrano più evidenti:
- la crisi di idee delle due grandi scuole di pensiero politico, laburista e conservatrice, incalzate dalla saldatura fra le neo-ideologie sovraniste e populiste, sostenute da un vasto consenso popolare nascente dalla paura del futuro;
- l’incapacità di contenimento delle ondate migratorie provenienti dall’Africa e dai Paesi Mediorientali in guerra dove negli ultimi 30 anni, per grandi responsabilità dell’Occidente, si sono aperte voragini di caos sociale e politico;
- le sempre più virulente speculazioni finanziarie del neo-Capitalismo predatorio, che continuano a giocare un pericoloso ruolo destabilizzante negli equilibri di sistema;
- l’inadeguata lentezza delle attività dei Governi, spesso malati di incapacità ad anticipare i processi sociali e ingabbiati da vecchie e pervicaci burocrazie;
- infine un’Unione Europea che non sa fare sistema contro la crisi e che fatica a trovare la strada per recuperare il nobile commitment del pensiero democratico, liberale e federalista delle origini, nato dalla cenere degli odi e delle devastazioni della Seconda Guerra Mondiale.
Il ruolo dell’Informatica
Il Convegno Internazionale di Informatica del 1998 riconobbe a Konrad Zuse, con il suo “Z1” (1939), il ruolo di inventore del primo computer funzionante e programmabile della storia. Nei successivi anni ’40 furono costruite le prime macchine, che introdussero il Mondo nella nuova era informatica.
Ma fu a Torino nel corso del 1975 che venne realizzato il primo microcomputer con tutte le funzioni tipiche dei personal classici. Il nome era MD 800 e venne costruito da due giovani ingegneri dello CSELT. Esistevano tutte le condizioni, a partire dalla realtà industriale Olivetti a Ivrea, affinché l’Italia assumesse un ruolo leader nella produzione di strumenti informatici, ma la consueta miopia e lentezza della classe politica nazionale e, in questo caso, anche di quella imprenditoriale, comportarono l’improvvido passaggio del testimone ad altri mercati occidentali e orientali.
Terza e Quarta Rivoluzione Industriale
La Terza Rivoluzione Industriale, quella informatica, muove i suoi primi passi a livello di massa durante gli anni ’70. Essa, partendo dall’invenzione del computer, determina un tendenziale processo di informatizzazione del mondo dei Media e della Comunicazione ma, più in generale, dei processi produttivi e dei costumi globali.
La Quarta Rivoluzione, cosiddetta 4.0, attiene ad un altro ambito, quello robotico.
Nel 2011 per la prima volta furono i tedeschi a utilizzare questa espressione alla Fiera di Hannover; si tratta di un travolgente processo di innovazione che si innesta sulla spinta più matura della Terza Rivoluzione.
I due piani distinti della Terza e Quarta rivoluzione si incrociano ora, determinando grandi opportunità di crescita ma al contempo producono segnali allarmanti sul piano occupazionale. Le ore di lavoro sono destinate a diminuire.
Lavoravamo 16 ore al giorno per 6 giorni, siamo arrivati a lavorarne 8 per 5 giorni, arriveremo presto a lavorarne 3 per 3 giorni alla settimana. Grande qualità della vita per pochi, estromissione dal mercato del lavoro per tanti.
Quanti posti di lavoro si porterà via l’intelligenza artificiale? È la grande domanda. Secondo McKinsey & Company (società di consulenza manageriale a livello mondiale che conduce analisi qualitative e quantitative sulla gestione di industria e servizi in ambito pubblico e privato, ndr), oggi nel Mondo meno del 5% dell’attività lavorativa è già interamente automatizzata. L’Italia conta 160 robot ogni 10 mila dipendenti, quasi la metà dei 300 della Germania e meno di un terzo della Corea del Sud (531), ma non è distante dagli Usa (176) e ne ha più di Francia (127) e Regno Unito (71). Ma nei prossimi anni, secondo la società di consulenza, sei lavori su dieci potranno essere automatizzati almeno per un terzo delle funzioni.
Uno studio di Boston Consulting (altra società d’analisi, ndr) stima, per esempio, che il 30% dei bancari potrà essere cancellato in cinque anni. Secondo un’analisi di Adp, (multinazionale delle risorse umane, ndr), in Italia ci sono 3,2 milioni di posti di lavoro a rischio: il 25% dell’Agricoltura, il 20% del Commercio, il 19% dell’Industria. Numeri che non possono che essere molto incerti. Ma è inutile affannarsi a ipotizzare, la vera domanda è un’altra: quanti di questi posti potranno essere sostituiti da nuovi tipi di occupazione?
Conclusioni
Voglio schierarmi su una posizione di ottimismo a riguardo; lo faccio proponendo stimoli, nelle pagine successive, spero utili.
Una discussione sicuramente difficile alla quale la Politica, prima o poi, dovrà decidere di partecipare in modo attrezzato.
E partiamo da una domanda generale: possibile che processi di rivoluzione industriale a così alto contenuto scientifico e di innovazione tecnologica, che hanno elevato la qualità del lavoro e di vita di milioni di uomini e donne, debbano consegnare l’Occidente ad un arretramento sociale, all’imbarbarimento, alla disoccupazione, alla povertà diffusa? Le previsioni catastrofiche non mi convincono e intravedo, accanto ai rischi e alle sofferenze sociali che per la verità sono figlie del fallimento della Politica, piuttosto che delle rivoluzioni industriali, condizioni utili affinché tutto l’Occidente possa investire su un futuro di progresso.
Questo è il punto: quali politiche pubbliche per armonizzare scienza, tecnologie, crescita civile ed economica?
Quali incroci sono in atto fra le due rivoluzioni, terza e quarta? (Qualche elemento di riflessione è proposto nel presente paragrafo).
Quale rivoluzione 4.0? (Rinvio: “Idea 4.0”).
Quali politiche per il lavoro? (Tema vastissimo che include la riforma del Mercato del lavoro e il rapporto Scuola-Lavoro. Consiglio caldamente la lettura del bellissimo libro “Nella tela del ragno – di Romano Benini, 2014 – Ed. Donzelli). (Rinvio ai miei articoli “Idea 4.0” e “Idea lavoro sociale”.
Quale nuovo welfare in Occidente? (Rinvio ai miei articoli: Idea Welfare – Parte prima e seconda).
Quali modelli per una decisione pubblica rapida ed efficace? (Rinvio al mio articolo: “I tre nodi della decisione pubblica”).