brevetti brevettiCon risoluzione 19/E del 14 febbraio 2017, l’Agenzia delle Entrate fornisce alcuni chiarimenti sull’ammissibilità di costi sostenuti da un’impresa per l’acquisto di un lotto che comprende brevetti, marchi e disegni, derivanti dal fallimento di un’altra società, ai fini del riconoscimento del credito d’imposta in ricerca e sviluppo, di cui all’articolo 3, Dl 145/2013.


 

Con l’occasione sono stati individuati anche i corretti criteri per quantificare il valore dei singoli beni immateriali ricompresi nei lotti di acquisto.

 

La norma citata riconosce un credito di imposta alle imprese che effettuano investimenti in attività di ricerca e sviluppo a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014 e fino a quello in corso al 31 dicembre 2019 (si precisa, al riguardo, che il regime agevolativo è stato di recente modificato dalla legge di bilancio 2017 e che le modifiche introdotte hanno efficacia dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2016).

 

Nel caso di specie, la società interpellante ha dichiarato di aver svolto nell’esercizio 2015 e di continuare a svolgere attività di ricerca e sviluppo, in relazione alla quale ha sostenuto, sempre nel 2015, vari costi, tra i quali quelli per l’acquisto in lotto di numerosi marchi, brevetti e disegni derivanti dal fallimento di un’altra società.

 

Nel merito, l’istante ha chiesto di conoscere:

 

 

  1. se l’acquisizione di brevetti (per invenzione e per modelli di utilità), marchi e disegni rientri nella definizione di “privative industriali”, richiamata dal comma 6, lettera d), dell’articolo 3
  2. in caso affermativo, se il relativo costo sia da considerare eleggibile all’agevolazione, considerato che tali beni immateriali sono stati acquistati da una società sottoposta a procedura fallimentare
  3. come valorizzare il costo dei singoli beni, tenuto conto che i documenti di acquisto riportano solo il costo complessivo e non quello unitario dei medesimi beni
  4. se, da ultimo, ai fini del calcolo della media degli investimenti, debba considerare o meno gli eventuali costi, inerenti alle citate privative industriali, sostenuti dalla società cedente.

 

 

Con riferimento al primo quesito, il documento di prassi, sulla base del parere espresso dal competente ministero dello Sviluppo economico, ha delineato il perimetro oggettivo della ricerca agevolabile, rammentando che l’ammissibilità dei costi al credito d’imposta è soggetta a una duplice condizione: i costi devono essere inerenti alla ricerca e sostenuti durante lo svolgimento delle attività di R&S.

 

Acclarato il rispetto dei suddetti vincoli, la risoluzione ritiene ammissibili all’agevolazione soltanto i costi riferiti a “brevetti per invenzione e brevetti per modelli di utilità”, in conformità con la norma di riferimento (il comma 6 dell’articolo 3, infatti, recita che il credito d’imposta è riconosciuto esclusivamente per le “privative industriali relative a un’invenzione industriale o biotecnologica, a una topografia di prodotto a semiconduttori o a una varietà vegetale“) e come confermato con la circolare 5/2016, paragrafo 2.2.4 (dove rinvia alla tipologia sostanziale di privativa descritta dal Dlgs 30/2005 – Codice della proprietà industriale).

 

Quanto al secondo dubbio interpretativo, la risoluzione, condividendo ancora il parere reso dal Mise, ha ritenuto ammissibili i costi sostenuti per l’acquisizione di privative da soggetti terzi e, quindi, anche da una procedura fallimentare di altra società. Ciò anche nel presupposto che né la norma di riferimento né la circolare 5/2016 prescrivono nulla al riguardo.

 

Rispetto al terzo quesito, concernente la corretta valorizzazione delle singole privative industriali, l’Agenzia conferma che il credito d’imposta si applica sulle spese effettivamente sostenute e non su valori forfettari medi, calcolati dividendo il costo complessivo sostenuto dall’istante per il numero dei singoli beni immateriali. Tra l’altro, questa metodologia non consentirebbe alla società di assolvere gli obblighi documentali imposti dall’articolo 7, comma 5, del Dm 27 maggio 2015 (decreto attuativo). Tale documentazione dovrà essere idonea a dimostrare, in sede di controllo, l’ammissibilità, l’effettività e l’inerenza delle spese sostenute.

 

La soluzione suggerita dall’Agenzia consiste, quindi, nell’adottare un criterio di ripartizione della spesa fondato sull’incidenza percentuale del valore normale del singolo bene rispetto al valore normale complessivo del lotto di beni acquistato. A tal fine, è opportuno che l’interpellante predisponga una relazione di stima del valore normale dei singoli beni a supporto dei costi indicati per ciascun bene immateriale. Per semplificare il metodo di calcolo proposto, il documento di prassi espone uno schema numerico esemplificativo.

 

Quanto, infine, all’ultimo quesito, la risoluzione precisa che gli investimenti sostenuti dalla società fallita per la realizzazione dei brevetti in esame “non possono essere imputati, ai fini del calcolo della media di riferimento …(alla società istante), in quanto le posizioni soggettive … non si trasferiscono in caso di operazioni fiscalmente realizzative e la cessione in questione – coinvolgendo una procedura fallimentare – avviene tra parti indipendenti“.

 

Ne consegue che i costi sostenuti dalla società cedente non entreranno a far parte del calcolo della media degli investimenti previsto per determinare la misura del credito d’imposta in R&S.