costo medio del lavoroCon le precisazioni arrivate dal Consiglio di Stato, sez. V, nella Sentenza del 06.02.2017 n. 501, si è fatta luce sulla derogabilità delle tabelle ministeriali, in materia di costo medio del lavoro per gli operatori economici in una gara d’appalto.

 


 

Al di là dell’asserita derogabilità dei minimi contrattuali (per il quale si rinvia più sotto), la censura non può essere accolta per il decisivo rilievo che le tabelle ministeriali esprimono un costo del lavoro medio, ricostruito su basi statistiche, per cui esse non rappresentano un limite inderogabile per gli operatori economici partecipanti a procedure di affidamento di contratti pubblici, ma solo un parametro di valutazione della congruità dell’offerta, con la conseguenza che lo scostamento da esse, specie se di lieve entità, non legittima di per sé un giudizio di anomalia (giurisprudenza assolutamente consolidata di questo Consiglio di Stato, da ultimo ribadita da: III, 25 novembre 2016, n. 4989, 2 marzo 2015, n. 1020; IV, 29 febbraio 2016, n. 854; V, 24 luglio 2014, n. 3937).

 

Nell’ambito di questo indirizzo giurisprudenziale si afferma quindi che gli scostamenti del costo del lavoro rispetto ai valori medi delle tabelle ministeriali possono essere ritenuti anomali se eccessivi e tali da compromettere l’affidabilità dell’offerta (da ultimo: Cons. Stato, III, 17 giugno 2016, n. 2685).

 

Ciò premesso, nel caso di specie le censure riproposte nel presente appello si incentrano in via esclusiva sullo scostamento del ribasso offerto dalle aggiudicatarie rispetto alle tabelle ministeriali. In particolare, su questo raffronto si diffonde la consulenza di parte allegata al ricorso di primo grado, mentre la violazione dei minimi contrattuali è meramente affermata.

 

Le tabelle ministeriali esprimono un costo del lavoro medio, ricostruito su basi statistiche, per cui esse non rappresentano un limite inderogabile per gli operatori economici partecipanti a procedure di affidamento di contratti pubblici, ma solo un parametro di valutazione della congruità dell’offerta, con la conseguenza che lo scostamento da esse, specie se di lieve entità, non legittima di per sé un giudizio di anomalia.

 

In base all’art. 20 d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (codice dei contratti pubblici allora vigente), l’aggiudicazione degli appalti avente ad oggetto i servizi indicati nell’elenco allegato II B, tra cui quello in contestazione, è disciplinato solo dai successivi artt. 68, 65 e 225 (in questo senso, cfr. Cons. Stato, III, 13 maggio 2015, n. 2388; sez. IV, 14 giugno 2014, n. 2853), oltre che, ai sensi dell’art. 27 del medesimo d.lgs. n. 163 del 2006, dai principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza e proporzionalità. Nell’ambito di questi principi rientrano quindi le questioni relative all’adeguatezza ed alla congruità dell’offerta presentata dai concorrenti (su questo punto: Cons. Stato, V, 7 novembre 2016, n. 4646).

 

In conseguenza dei principi ora espressi, da un lato, per i servizi in questione non è consentito estendere le disposizioni puntuali del previgente codice dei contratti pubblici, se non quando richiamate della normativa di gara, mentre per gli stessi contratti si pone certamente l’esigenza di assicurare l’affidabilità dell’offerta sul piano economico.

 

Dall’altro lato, se per i servizi di cui all’allegato II B non è configurabile un obbligo di procedere alla verifica dell’anomalia dell’offerta, quand’anche si siano verificati in astratto i presupposti di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 86 del previgente codice dei contratti pubblici, ne consegue che la scelta in questione integra una facoltà discrezionale della stazione appaltante, la cui determinazione è sindacabile in sede giurisdizionale solo se manifestamente irragionevole, ovvero irrazionale, illogica ovvero viziata da travisamento di fatti (in questo senso: Cons. Stato, V, 1 ottobre 2015, n. 4586).

 

Per contro, nel formulare la loro censura ancora una volta le cooperative sociali appellanti muovono da una premessa interpretativa errata, laddove deducono a sostegno dell’illegittimità prospettata il solo verificarsi del presupposto di cui al citato art. 86, comma 2, e cioè l’avere il raggruppamento temporaneo aggiudicatario conseguito un punteggio superiore ai quattro quinti dei corrispondenti punti massimi previsti dal bando di gara.