La Cassazione, con la sentenza n. 4235/2017, chiarisce i casi in cui va negato il rimborso IRAP, in base ai dati indicati nel quadro RE IRAP, e a chi spetta l’onere probatorio.
Il ricorrente denuncia contraddittorietà della motivazione circa un fatto controverso e decisivo, ai sensi dell’art. 360, comma primo n. 3, cod. proc. civ., in relazione all’affermazione, posta a base della decisione impugnata, secondo cui la costante ripetizione di costi è sufficiente indice significativo della presenza di una autonoma organizzazione ai fini dell’applicazione dell’Irap: affermazione ritenuta dal ricorrente in contrasto con il principio anteposto nella stessa parte motiva secondo cui «l’organizzazione acquisisce rilevanza autonoma allorché viene ad essere composta da beni strumentali che, per loro natura e funzione, sono in grado di implementare l’attività produttiva», postulando questo – egli assume – la verifica della natura dei beni strumentali utilizzati e non la sola considerazione dell’entità e costanza nel tempo dei costi sostenuti.
Giova rammentare in premessa che, trattandosi di istanza di rimborso di Irap già versata dal contribuente, l’onere di dimostrare la sussistenza del fatto costitutivo della pretesa restitutoria (ossia, il carattere indebito del pagamento e, dunque, l’insussistenza dei presupposti di imposta) spettava al ricorrente (v. ex multis Cass. Civ., Sez. 5, n. 25311 del 28/11/2014, Rv. 633690; Sez. 5, n. 18749 del 05/09/2014, Rv. 632244). Questo essendo il criterio di lettura dei dati acquisiti al processo, non può dubitarsi della adeguatezza delle motivazioni rese dai giudici a quibus del convincimento espresso circa la (in)idoneità della documentazione prodotta in primo grado (dichiarazioni dei redditi) a dimostrare la carenza dei presupposti di imposta.
Ed invero, il rilievo secondo cui «la costante ripetizione negli anni dei costi evidenziati nel quadro RE di ciascuna dichiarazione … può ben assumersi a indice significativo», può e deve essere inteso a contrario – alla luce del detto criterio – come espressivo del convincimento secondo cui quei dati di per sé non sono, quanto meno, sufficienti a dimostrare la fondatezza della istanza di rimborso, ossia a escludere la sussistenza del requisito di imposta.
La C.T.R. ha, pertanto, confermato la legittimità del diniego del chiesto rimborso in ragione – come detto – del rilievo per cui «la costante ripetizione negli anni dei costi evidenziati nel quadro RE di ciascuna dichiarazione … può ben assumersi quale indice significativo circa la persistenza dell’elemento di organizzazione»: rilievo che evidentemente muove da una corretta interpretazione del presupposto d’imposta, siccome identificato nella sussistenza di un apparato organizzativo che affianchi il lavoro del professionista, quale «fattore idoneo alla produzione di reddito aggiuntivo rispetto a quello derivante dall’attività riferibile alla sola persona del professionista».
In allegato il testo completo della Sentenza.