In una sentenza, la Corte Costituzionale ha dichiarato che il convivente di fatto fa parte dell’impresa familiare, ampliando il tema della tutela del lavoro.


La Corte Costituzionale è intervenuta da poco sul tema della convivenza di fatto, ovvero le coppie che vivono insieme, come se fossero unite dal vincolo del matrimonio.

Nella sentenza n°148, però, si specifica che il convivente di fatto è da considerarsi come un “familiare”, nell’ambito del lavoro nell’impresa familiare.

Vediamo nello specifico.

Convivente di fatto nell’impresa familiare: la sentenza della Corte Costituzionale

La Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art.230-bis, terzo comma, del Codice Civile. Più nello specifico, nella parte in cui non prevede come familiare anche il convivente di fatto e come impresa familiare quella in cui collabora anche il convivente di fatto.

Il giudice ha dichiarato l’illegittimità costituzionale anche dell’art. 230-ter del Codice Civile, che, introdotto dalla Legge n°76/2016 (legge Cirinnà), riconosceva al convivente di fatto una tutela più ridotta.

Seconda la legge (art.1, comma 36 della legge n°76/2016), per “conviventi di fatto”, s’intendono

“due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale”.

La sentenza nasce dal ricorso fatto da una donna che era convivente di un uomo che è deceduto. Ha deciso di fare ricorso nei confronti dei figli e dei coeredi, richiedendo al Tribunale di accertare l’esistenza di un’impresa familiare, relativa ad un’azienda agricola.

La donna rivendicava il diritto all’ottenimento della liquidazione della sua quota come partecipante all’impresa, poiché aveva lavorato nell’azienda di famiglia.

L’istanza era stata respinta dal giudice di primo grado. Poiché sosteneva che il convivente di fatto non può essere considerato un familiare, ai sensi dell’art.230-bis, terzo comma del Codice Civile. Sulla stessa linea si era posta anche la Corte d’Appello.

La donna, quindi, aveva fatto ricorso alla Suprema Corte, evidenziando

“la mancata considerazioni delle mutate sensibilità sociali in materia di convivenza more uxorio, oltre che delle aperture della giurisprudenza sia di legittimità e sia costituzionale”.

La Consulta ha accolto il ricorso, sottolineando che, in una società profondamente mutata, c’è stata un’evoluzione sia della normativa nazionale che della giurisprudenza costituzionale, che ha riconosciuto la piena dignità alle famiglie composte da conviventi di fatto.

Ovviamente permangono le differenze di disciplina, rispetto alla famiglia fondata sul matrimonio. Ma quando si tratta dei diritti fondamentali, questi devono essere riconosciuti a tutti, senza distinzioni.

La Corte ha sottolineato che la tutela del lavoro è uno strumento di realizzazione della dignità di ogni persona, sia come singolo che come membro e componente della comunità, a partire da quella familiare.

Quindi è irragionevole la mancata inclusione del convivente di fatto nell’impresa familiare.